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Allarme per la lingua italiana

Mar, Ago 28, 2012

Cultura

E’ moda spiattellare tre, quattro, cinque parole anglo-americane ogni dieci

La lingua italiana, che attraverso i secoli ha dato al mondo capolavori come La Divina Commedia di Dante Alighieri e innumerevoli altre opere d’altri autori, ora è assediata, invasa, sommersa da parole anglo-americane, in tutti i settori della vita pubblica e privata: agonismo, burocrazia, divertimento, economia, giornalismo, industria, informatica, letteratura, onomastica, politica, radiotelevisione, sanità, scienza, scuola, spettacolo, tecnologia… È impossibile citare qui le parole straniere che la fanno da padrone in Italia, perché esse sono infinite e per elencarle tutte ci vorrebbe un vocabolario.

Moltissimi sono gl’italiani che non si sentono realizzati se non seguono la moda di spiattellare tre, quattro, cinque parole anglo-americane ogni dieci, pronunciate gonfiando e storpiando continuamente la bocca con suoni per loro entusiasmanti ma per noi aberranti, estranei alla nostra storia e civiltà, che essi stessi svendono per disinteresse o capriccio. Usando anglo-americanismi a tutto spiano, essi credono d’ornare e aggiornare il loro linguaggio, parlato e scritto; e perciò pronunciano all’inglese perfino parole italiane, francesi, spagnole e latine. Essi a volte arrivano a coniare degli ibridismi (parole metà italiane e metà anglo-americane) che suscitano ribrezzo negli amanti della lingua italiana; e supinamente usano errati costrutti anglo-americani quali “ il fine settimana” (anziché correttamente “la fine della settimana”, dato che in italiano “il fine” è lo scopo, mentre “la fine” è la cessazione).   

È vero che a volte l’uso d’anglo-americanismi è fatto per automatica imitazione, senza rendersi conto del danno che si procura all’immagine dell’Italia; ma nondimeno anche quest’abitudine va combattuta ed eliminata, dato che chi per imitazione spara anglo-americanismi a raffica dimostra d’aver ceduto il proprio cervello all’ammasso.

Per quanto riguarda le pubbliche istituzioni, poi, quel che impressiona di più è che spesso si fa uso d’anglo-americanismi nelle disposizioni delle autorità e negli atti ufficiali della Repubblica Italiana. E siamo arrivati al punto che all’università “Bocconi” di Milano le tesi di laurea degli studenti devono essere compilate ed esposte in lingua inglese!

La deplorazione di quest’abuso non significa che lo studio delle lingue straniere debba essere disprezzato e trascurato; anzi esse devono essere ben apprese, ma per essere utilizzate speditamente con gli stranieri: nelle amicizie, nei rapporti internazionali, negli affari, nei commerci, nella diplomazia, nella ricerca scientifica, nel turismo, ecc. In Italia e con i connazionali gl’italiani devono parlare e scrivere senza parole anglo-americane.

Invece ora succede, ad esempio, che i libretti con le indicazioni d’uso di automobili, elettrodomestici, calcolatori ed elaboratori elettronici, macchine fotografiche, orologi ed altri prodotti delle industrie italiane indicano in anglo-americano le caratteristiche, le parti assemblate, gli accessori, i comandi, i congegni e le funzioni, così tappezzando di parole anglo-americane le istruzioni, nonostante che queste siano rivolte agl’italiani. 

In passato le parole straniere che entravano nella lingua italiana venivano italianizzate, in modo da assumere caratteristiche grafo-foniche italiane: basti pensare a tanti nomi comuni e ai nomi propri di personaggi come Francesco Bacone, Renato Cartesio, Tommaso Moro…, o di città come Lisbona, Londra, Parigi… Oggi esse s’assumono tali e quali come sono nella lingua d’appartenenza, trasformando l’Italia in una colonia anglo-americana. D’altronde per i membri delle case regnanti in Italia s’è sempre detto e scritto “il re Alberto”, “la regina Beatrice”, “il re Enrico”, “il re Giacomo”, “il re Giorgio”, “il re/imperatore Guglielmo”, “la regina/imperatrice Elisabetta”, “l’imperatrice Caterina”, “la regina Maria”, “l’imperatrice Maria Teresa”, “i principi Filippo e Carlo”, ecc.: e quindi non si capisce perché oggi si debba dire e scrivere “il principe William” (= Guglielmo), “la principessa Kate” (= Caterina), “il principe Henry o Harry” (= Enrico), ecc.

Eppure l’anglo-americanizzazione è rifiutata in altri Stati come la Francia, la Spagna, la Germania e altri, dove apposite accademie controllano la purezza della lingua e traducono anche i termini più diffusi dell’informatica: gl’italiani vogliono soggiacere agli anglo-americani, senza ritegno e senza pudore. E così — mentre sono giustificabili i nomi stranieri per i discendenti di persone straniere, magari nati all’estero — purtroppo s’impongono nomi stranieri ai figli in famiglie totalmente italiane, e nati in Italia: una cosa che dovrebbe essere vietata per legge (e non si capisce come mai i parroci italiani accettino per i battesimi i nomi stranieri). Tali nomi sono desunti dal cinema, dalla televisione, dai viaggi esotici o dalla narrativa tradotta in Italia, in cui per strana consuetudine non vengono invece tradotti i nomi personali. In questo modo svanisce una caratteristica dell’essere italiano, cioè il portare un nome italiano: e l’anglo-americanismo appare per molti l’apice della civiltà, della bellezza, dell’eleganza.

È chiaro che ogni italiano può mettere al proprio figlio il nome che vuole, ma questo dev’essere in lingua italiana: non si deve credere che un nome straniero dia più lustro d’uno italiano. E se non piacciono più i nomi dei santi, che i nostri genitori c’imponevano per devozione e protezione, ci sono migliaia di nomi di fiori o d’altri oggetti e concetti espressi in italiano.

L’anglo-americanizzazione della società italiana, ed in particolare della gioventù, non fa onore alla storia e alla civiltà dell’Italia, nonché alla sua dignità e al suo prestigio acquisiti nei secoli. 

La vigilanza e la tutela sulla lingua italiana dovrebbero essere affidate ad un ente di massima garanzia, quale potrebbe essere la Società Dante Alighieri, che localmente le eserciterebbe tramite i suoi comitati comunali e persone di comprovata competenza e fedeltà.

Allarme per la lingua italiana: al fine di bonificarla e fermarne la deriva, occorre una purificazione e liberazione dalle parole straniere.

In nome di Dante, riprendiamo l’orgoglio dell’italianità, cioè d’essere italiani e di parlare e scrivere usando solamente parole italiane!

Carmelo Ciccia

Carmelo Ciccia

Nato a Paternò, dopo la laurea in lettere a Catania e un periodo d’assistentato universitario e d’insegnamento liceale in quest’ultima città, si è trasferito nel Veneto, dove è stato docente e preside, per molti anni nel liceo classico di Conegliano (TV), città in cui risiede e in cui svolge varie attività culturali. Ha pubblicato una ventina di libri e una quarantina di opuscoli ed estratti, anche in latino, quasi tutti di saggistica e di critica letteraria, principalmente su Dante, ma anche su altri scrittori. Collabora a numerosi giornali e riviste con articoli e recensioni (oltre un migliaio quelli finora pubblicati) ed ha ottenuto vari riconoscimenti, fra cui alcuni primi premi, premi della cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, concessa dal Presidente della Repubblica, e la medaglia d’oro della città di Conegliano, concessa dal sindaco. Nel 2005 è stato invitato al Quirinale dal presidente Ciampi.

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