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“Libro Siciliano” di Matteo Collura all’Università di Catania

Gio, Apr 11, 2013

Cultura, Eventi

Un viaggio oltre la superficie delle cose e l’oleografia del “Grand Tour”

Lunedì 25 marzo 2013 alle ore 17, il “Coro di notte” del Monastero dei Benedettini di Catania ha aperto i battenti per ospitare la presentazione di Libro Siciliano di Matteo Collura (edito da Flaccovio Editore) organizzata dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi del capoluogo etneo. Dopo i saluti del prof. Carmelo Crimi, direttore del Disum, che nella sua prolusione ha considerato la sua presenza come l’inequivocabile testimonianza dell’interesse che il Dipartimento e i suoi 155 docenti nutrono verso tutti gli eventi in grado di promuovere cultura (a dispetto di quell’impietoso ultimo posto italiano in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura), il pubblico si è trovato in breve tempo nel vivo della presentazione, sin da subito richiamato dagli accenti familiari di un volume che le letture dell’attrice catanese Valeria Contadino e le delicate esecuzioni pianistiche di Claudia Aiello hanno senz’altro reso più incantevole.

L’incontro, coordinato dalla prof.ssa Maria Virgillito, presidente Ammi (sezione di Paternò), ha dato modo ai proff. Nunzio Famoso, docente di Geografia economico-politica all’Università di Catania e Pino Pesce, direttore responsabile de l’Alba, di partire da Libro Siciliano e lodarne il contenuto “formalmente significativo” senza incensamenti oltre misura, ma anzi costruendovi intorno un passato ed un presente, abbozzando speranze per il futuro ed unendo accenni di storia letteraria, col preciso intento di onorare l’opera di Matteo Collura al di là – com’è ovvio –  dei meriti scaturiti dalla privilegiata collaborazione di questo con l’amico e maestro Leonardo Sciascia. Della vita di Collura, presente al rendez-vous letterario, sono stati rivissuti in breve a mo’ di introduzione i percorsi editoriali, anche attraverso il ricordo di personalità rappresentative come quella dell’editore Sergio Flaccovio, che il prof. Pesce non manca di menzionare stabilendo così un legame di memoria con l’omonimo libro (e prefazione di Sciascia) che il padre Salvatore Flaccovio commissionò ad altri autori nel 1970. Libro Siciliano si presenta come un compendio di sicilianità allo stato puro, una guida all’anima di una terra che vuole parlare all’anima e lo fa per quadretti ed aneddoti, assecondando la natura di una vecchia Sicilia silente, abituata a suggerire i propri bisogni bofonchiando laconica. E’ un’isola, quella di Collura, che non vuole negarsi e lo fa concedendo che le si dia uno sguardo indiscreto ma gentile come attraverso quel buco della serratura rosso a forma di cuore che ritroviamo sulla copertina del volume a richiamo dell’ammessa sbirciata. Sono cenni di capo, epigrafi sincere ma ancora non estreme, corredate dalle meravigliose immagini del fotografo Melo Minnella che, dice l’autore agrigentino, «tra le cinquemila foto scattate non avrebbe saputo quali scegliere». Non può non attrarre l’ennesimo salto di un siciliano di nascita dentro quella Sicilia salutata molti anni prima per trasferirsi a Milano, un viaggio che va oltre la superficie delle cose e non cade nel tranello di quell’effigie oleografica che secoli di un pur onorevole Grand Tour hanno inconsciamente creato. L’amore indiscusso per la terra natia così sfuggente, con la quale e senza la quale non si può vivere, per dirla alla Borgese, e l’oramai ineliminabile componente obiettiva dell’elzevirista Collura, respingono una caustica imparzialità come pure i facili sentimentalismi e a dimostrarlo sono le parole dello stesso autore quando dice: «Io bacio la Sicilia amante con gli occhi aperti, per vederne anche i difetti»; emergono, perciò, considerazioni sulla religiosità locale dimenticata a scapito della seriale idolatria che si consuma nell’immotivata proliferazione delle statue di Padre Pio (che – dice Collura – «ha la faccia del siciliano medio furbo, eletto dal popolo e non dalla Chiesa») e nella rappresentazione parossistica del dolore, evidente soprattutto nelle passiones Christi nostrane, inclini a mostrare la Madonna nelle vesti di mater dolorosa e a trascurare – quasi – i patimenti del Figlio: segno incontrovertibile, questo, di una cultura siciliana come somma di culture altre, e di una Sicilia come approdo ospitale che ha non passivamente assorbito (ma anzi attivamente scelto) le impronte dei popoli che l’hanno invasa e che, credendo di conquistarla, ne sono stati invece superbamente avvinti. «Graecia capta ferum victorem cepit» diceva Orazio in una delle sue Epistulae in riferimento alla malia esercitata dal greco predato sul rozzo predatore romano: così anche in Sicilia, dove l’isola messa a ferro e fuoco da spagnoli, arabi e normanni ha però mantenuto la «regia della sottomissione» diventando più Grecia della Grecia e più Spagna della Spagna. Il suo essere isola, fisicamente distante e desiderabile, ha fatto dei singoli miti gli alibi perfetti che la lettura non più arcaica di Collura giunge a decostruire poco a poco: vade retro, perciò, il mito di una terra nota per leggende almeno fino agli anni ’60, quando ancora le passate scelleratezze del bandito Giuliano coprivano il volto della vera Sicilia, dilaniata invece da terremoti e speculazioni edilizie. Autentico «atto d’amore verso la Sicilia», afferma infine il prof. Famoso a proposito del volume, che è per lui in completa dissonanza con quanto molti scrittori hanno detto e ridetto sul potere frenante dei luoghi: cita così il viaggiatore e scrittore Bruce Chatwin, che dell’irrequietezza e della necessaria fuga dal luogo fece una propria bandiera, e ci ricorda come, in teoria, nei nostri cromosomi la tendenza al nomadismo dovrebbe superare quella allo stanziamento. La terra a tre punte, però, rimescola le carte e smentisce i geni: il segreto per appartenerle per sempre senza sprofondare è racchiuso – per riadattare l’espressione usata da Pesce – nel detto mazziniano «Un popolo che ha memoria dorme il sonno del leone».

Giorgia Capozzi

Giorgia Capozzi

Laureata in filologia classica e collaboratrice del periodico l’Alba, eternamente insoddisfatta e perfezionista; adora l’ozio letterario e creativo («una chimera, ahimè, in tempi di studio “a cottimo”» come dice), la musica, i giochi di parole e da tavolo, le scene cult e gli aforismi, a patto che siano nuovi e calzanti («digerirei – afferma – le citazioni anonime da Baci P. solo se pronunciate con l’autorevole disinvoltura con cui Humphrey Bogart ordinerebbe un J&B con ghiaccio». Ancora. «Scapperei con Jack Nicholson anche domani: se mi assicurasse di sapere scrivere come Calvino e sedurre ritmicamente come Bregovic, lo mollerei perché sarebbe un concentrato di perfezione! Per ora vi basti sapere che più dell’essere umano amo l’artista che è in lui, tranne quando non reputa un crimine abbinare l’aggettivo “solare” a qualcosa che non sia una crema.»).

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