A A
RSS

“Sicilia, la fabbrica del mito” di Matteo Collura

Mar, Apr 16, 2013

Cultura

I miti dell’Isola fra contraddizioni e misteri raccontati da uno scrittore di razza

Secondo Voltaire, ripreso da Sciascia, da un libro ne possono germinare tanti altri. Così è accaduto perCandide. E lo stesso si potrebbe ripetere per Sicilia, la fabbrica del mito di Matteo Collura appena uscito per Longanesi (pagg. 220 € 18).

Il libro, con i precedenti: In Sicilia e L’isola senza ponte forma una trilogia sull’odiosamata isola dall’“emigrato” Collura, e dalle  moltitudini di emigrati al Nord o all’estero che, fuggiti dalla Sicilia, continuano a covare di lontano per tutta la vita la nostalgia del ritorno.

Ma come per Sciascia, Vittorini, Quasimodo e Consolo e Brancati e Verga e Pirandello e Bonaviri e…, i capolavori degli scrittori siciliani non sarebbero nati senza Sicilia e senza le sue contraddizioni, i suoi misteri, i suoi miti, con l’eccezione forse di Gesualdo Bufalino, il meno siciliano, letterariamente parlando, di tutti.

I tanti capitoli potrebbero essere altrettanti libri di questo inquietante e coinvolgente testo, che, come gli altri suoi precedenti, della cronaca fa storia e della storia fa palpitante cronaca.

Scrittore colto e controllato e giornalista di razza, Collura comunica al lettore il diletto della pagina scritta, che è pari al suo evidente piacere di scriverla.

Dunque Sicilia del mito, dei miti, la terra dei misteri. Tanti, molti e di ognuno Collura, sa enucleare l’essenza dei fatti, indagandone i motivi che li hanno originati, la psicologia dei protagonisti, senza preconcetti, ma restituendone la verità effettuale entro i limiti dell’imperativo manzoniano, posto a epigrafe di quest’opera che sorprende non solo i siciliani.

«E se quei luoghi son quelli dove siam nati, c’è forse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente.»

Collura è animato nel suo lodevole lavoro di ricerca dal desiderio di comprendere, della stessa “speranza” dello scrittore Jean Louis Curier: «Voglio vedere la patria di Proserpina, e sapere perché il diavolo ha preso moglie proprio in quel paese». Il mito di Proserpina – la greca Persefone – rapita da Ade, signore dell’Oltretomba. Il ratto nella mitologia, ‘a fuitina nella realtà siciliana, una pratica consueta in tempi più recenti: di due ragazzi, lei sui 16 anni, lui qualcuno in più che, osteggiati dalle famiglie, si allontanavano (fuggivano) da casa per realizzare il loro sogno d’amore. Esemplare ‘a fuitina di Elio Vittorini e Rosa Quasimodo, entrambi figli di capistazione a Siracusa, lui diciannovenne, lei di 22 anni, che, scavalcata la ringhiera del terrazzino che divideva le loro case, fuggirono riparando in una locanda di Siracusa.

Bastava una notte, e sempre seguiva il matrimonio riparatore. Beninteso tra veri innamorati. Ma se la ragazza era dissenziente, lo scopo veniva raggiunto mediante la violenza, lo stupro, ché col matrimonio riparatore il reato non era punibile. L’assurda e primordiale supremazia del maschio sulla femmina cessò finalmente con la L. n.66/96, che considera il reato di violenza sessuale non più di carattere morale ma personale: la donna non più oggetto ma soggetto.

Un caso tra tutti, che merita di passare alla storia: Franca Viola, una ragazza di 16 anni di Alcamo, rapita da dodici sgherri del suo spasimante, Filippo Melodia, e da questi stuprata; una vera eroina che ebbe il coraggio di spezzare questa barbara pratica mafiosa rifiutando il matrimonio riparatore e facendo condannare il suo turpe stupratore.

E quattro secoli prima, in Lombardia, la storia raccontata dal Manzoni, di Lucia Mondella e Renzo Tramaglino, il cui matrimonio è osteggiato dalle minacce del signorotto Don Rodrigo. Non è anche questa una storia di sopruso, di mafia? Dal ‘600 ad oggi. Una donna pakistana, Mukthar Mai, stuprata da una banda di tredici uomini, prosciolti dalla Corte Suprema di Islamabad, che anziché suicidarsi secondo il barbaro costume del suo paese, continua a vivere lasciata sola come un’appestata. «La Sicilia metafora del mondo. Non si può capire l’Italia, se non si conosce la Sicilia»: l’interesse a conoscere quest’isola ha sempre animato artisti, scrittori di ogni tempo: Goethe, Guy De Maupassant, Dumas padre, Mario Praz. Una terra dove tutto assurge a mito. Mito è nell’iconografia popolare il brigante Salvatore Giuliano, un bracciante analfabeta, finito, ingenuo pupo, nelle mani di esperti potenti pupari. Gli misero in testa il sogno di una Sicilia separata dall’Italia, sarebbe stata, la Sicilia, la 49° stella dell’America. Gli armarono le mani per massacrare un pacifico raduno di contadini che chiedevano le terre da coltivare (la strage di Portella della Ginestra). Tragica morte l’aspettava a opera del cognato, il famigerato Gaspare Pisciotta, ucciso a sua volta da una tazza di caffè nel carcere dell’Ucciardone. Come, parecchi anni dopo, Sindona, il bancarottiere di Messina. I misteri di Sicilia. Matteo Collura ha mano felice nell’estrarre dalla cronaca i misteri della sua terra e farne storia, ariosa narrazione.

Ippolito Nievo, il giovane garibaldino, autore de Le confessioni di un italiano, scomparso nel braccio di mare di Gaeta mentre tornava a bordo del piroscafo Ercole, dalla Sicilia portando con sé una cassa di documenti segreti che avrebbero svelato il mistero, i misteri, intorno alla spedizione dei Mille: un branco di scanarzati morti di fame, che prodigiosamente furono capaci di rovesciare il poderoso governo borbonico di Sicilia. Carte che non dovevano arrivare a destinazione. Come non doveva arrivare a destinazione il petroliere Enrico Mattei. Un mistero anche la morte dello scrittore Raymond Roussel, trovato senza vita su un materasso steso a terra, all’Hotel delle Palme di Palermo; e il “Conte” di Cagliostro, al secolo Giuseppe Balsamo, nato a Palermo nel quartiere Ballarò, “grande alchimista, guaritore, veggente, grande esempio di falsità assoluta”, come lo definì Thomas Carlyle. E lo stravagante Principe di Palagonia, circondato da mostri di pietra nella villa di Bagheria, meta obbligata di turisti.

La funzione della donna in Sicilia. “Ovunque nel mondo la donna rimane parte integrante degli archetipi fondanti le civiltà. Ma in Sicilia la presenza femminile ha qualcosa di ossessivo, un idolo di cui diffidare, tranne che per la madre.” Con ricchezza di particolari, Collura ci racconta del precoce musicista Vincenzo Bellini, geniale autore de La Norma, I puritani, idolo consacrato della sua città natale, Catania, eccezionale seduttore di donne, morto a Parigi, povero e solo. Così per Antonello da Messina, cui fu attribuita fama di donnaiolo. “Quel siciliano ci sa fare” detto da Donizzetti per Bellini. Dovrà venire Brancati, che con l’ironia malinconica che caratterizza  i suoi romanzi, demolirà il mito del maschio siciliano.

E la mafia, i mafiosi? Collura scaglia parole di fuoco contro la mala pianta, mafia e mafiosi, spogliandoli dell’alone del mito, riportando i capi storici, Genco Russo, Provenzano, ridotti a vivere in abituri sotterranei, come talpe, circondati da santini con addosso la fredda presenza della morte.

Tra i misteri della Sicilia, opportuna e emblematica, è la ricostruzione della inquietante vicenda dei monaci mafiosi di Mazzarino, francescani, che a loro discolpa dall’accusa di estortori, adducono la sinistra presenza dell’ortolano del convento, Carmelo Lo Bartolo, che, ideatore delle estorsioni, li costringeva a fare da tramite tra gli ignoti mandanti e le vittime, benestanti e proprietari terrieri costretti a vendere i loro beni  dietro minaccia di morte, puntualmente eseguita se la richiesta restava insoddisfatta.

Una clamorosa affaire mafiosa-giudiziaria che occupò oltre un decennio di indagini e processi, dal 1956 al 1969, conclusasi con condanne miti a carico dei frati e, a suggello di uno dei tanti misteri isolani, con la morte nel carcere di Caltanissetta del Lo Bartolo, impiccatosi con un lenzuolo legato a un chiodo ad altezza inferiore a quella del “suicida”. C’è un episodio all’interno di questa fosca vicenda, che dice del terrore, della ferocia che i pii fraticelli seminavano per convincere i malcapitati a pagare. Un uomo anziano, padre di un bambino, resisteva al ricatto. Uno dei monaci, incontrandoli, padre e figlio, si avvicina al bambino, e teneramente carezzandolo, fa questo complimento: «Quant’è bello! Pare vivo.»

Giuseppe Cantavenere

Redazione l’Alba

Tags: , , , , ,

2 Resposte a ““Sicilia, la fabbrica del mito” di Matteo Collura”

  1. Salvatore ha detto:

    Un parallelepipedo di mille facce, di colore diverso ma egualim in cui mito e mistero si confondono e distinguono nello stesso tempo, in cui le contraddizioni fungono da legante.
    Un racconto che, dopo la prima lettura, non capisci nulla; dopo la seconda credi di aver capito tutto; dopo la terza ti convinci che rimane sempre quakcosa da capire.
    Sta anche in questo il mistero del racconto e la profondità di Collura.
    E Cantavenere ne coglie in pieno l’essenzialità.

  2. Salvatore ha detto:

    OPS

    Un racconto di cui,

Lascia un commento

agata rizzo alba Anna Rita Fontana arte bellini belpasso biancavilla cannizzaro carlo caputo carmelo ciccia catania cinema collura Coro lirico siciliano daniela schillaci danilo festa discarica motta film giuseppe cantavenere iti cannizzaro l'alba l'Alba ArteCulturaSocietà l'alba periodico laura cavallaro laura timpanaro libro mario incudine matteo collura misterbianco mostra motta sant'anastasia nino di guardo no discarica norma viscusi paternò patrona pdf pino pesce rosa balistreri scuola SI.RO spettacolo taormina teatro Teatro Massimo Bellini di Catania

Bacheca Periodico – Ultime Edizioni