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“Ricatto allo Stato” di Sebastiano Ardita

Mer, Ott 22, 2014

Cultura, Informazione

Oltre l’approccio storico, culturale ed economico del fenomeno mafioso

“La storia ci ha insegnato che dove mancano o non sono rispettate le leggi dello Stato, ed è presente la mafia, è quest’ultima ad imporre le sue regole”.  Ciò accade nella vita reale di ciascuno e ancor più dentro i penitenziari quando il carcere, fuori dalle norme dell’ordinamento penitenziario, diventa un’occasione di governo per Cosa Nostra o, peggio, un’opportunità per  creare i presupposti  per un Ricatto allo Stato. Questo libro va oltre l’approccio storico, culturale ed economico del complesso fenomeno della mafia e attraverso l’approfondimento del 41 bis, consegna al lettore gli strumenti legislativi per capire il perché il regime speciale di detenzione, o carcere duro sia stato per tanto tempo oggetto di interesse da parte dei boss mafiosi e abbia rappresentato il tentativo di Cosa Nostra di trattare con le istituzioni in cambio di benefici carcerari.  Le istituzioni hanno, davvero, ceduto a questo ricatto?

Sebastiano Ardita, supportato dagli elementi giudiziari e dalla personale esperienza sul campo, in qualità di Direttore dell’Ufficio Detenuti all’interno del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) testimonia la difficile applicazione del 41 bis, gli attacchi e i tentativi di deprivare lo Stato della sua forza di incidere significativamente sulla lotta alla mafia. La norma che introduce il 41 bis, nasce dalla mente di Giovanni Falcone  con il pacchetto antimafia proposto all’allora Ministro della Giustizia, ma venne introdotto dal Ministro Claudio Martelli, nella notte del 19 luglio 1992, conseguentemente alla strage di Via D’Amelio. In principio era racchiuso in “una paginetta che raccoglieva brevi osservazioni stereotipate”, in seguito, sfruttando tale fragilità giuridica, divenne oggetto di interesse da parte dei capi mafia, i quali, grazie anche ad una linea giurisprudenziale contraria al 41 bis, cominciarono ad accordarsi presentando allo Stato dichiarazioni, tentativi di dissociazioni da Cosa Nostra per imporre la loro linea di potere su quella istituzionale. Non si spiegherebbero, altresì, gli annullamenti di  alcuni provvedimenti verso pericolosi esponenti della criminalità organizzata. In più, se si considerano i tentativi di screditare l’operato di chi, al contrario, con lealtà e intelligenza ha messo in luce tali anomalie, è facile trarre le conclusioni che la mafia in un modo o nell’altro abbia realmente tentato di instaurare una trattativa con lo Stato attraverso alcuni suoi apparati. Risultato? Dal 2002 si apre una fase di accertamento della bontà del regime speciale e l’indagine parlamentare sul 41 bis si concluderà l’8 marzo del 2005 segnando la fine della crisi dello stesso  e l’inizio di una nuova fase caratterizzata dallo stop agli annullamenti  elargiti con troppa facilità. Il  nuovo 41 bis diventa, finalmente,  una “misura di prevenzionetrasparente,   verificabile da tutti ,  condivisa con le procure e legittimata dalla Cassazione ”. Un successo per lo Stato e per chi ha portato avanti questa battaglia. Vengono anche smantellate le teorie che il carcere duro sia una pena disumana che priva il detenuto di ogni dignità. Chiaramente chi vive a stretto contatto con tale realtà conosce la sofferenza umana  alla quale è sottoposto il detenuto in regime speciale  ma la consapevolezza che il fine ultimo sia una riabilitazione del soggetto e la prevenzione della criminalità aiuta a svolgere il proprio ruolo con consapevolezza senza mai essere cinici. Inoltre, il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita non azzarda e non trae conclusioni affrettate. Lascia libero il lettore di trarre le proprie conclusioni sulla base di fonti attendibili e verificabili. Tutt’al più, animato da un forte senso di giustizia, per il ruolo che ricopre con professionalità, umanità e  coraggio, attribuisce una funzione fondamentale alla memoria  perché  “un’istituzione, un corpo, una società che non hanno memoria, non possono avere nemmeno futuro”.

Genny Mangiameli


Redazione l’Alba

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