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Ritorna “Rigoletto” di Verdi al “Bellini” di Catania

Lun, Nov 30, 2015

Primo Piano, Spettacolo

L’opera per la maturità artistica e intellettuale è tra quelle di maggior pregio

Otto è il numero delle rappresentazioni di Rigoletto al Teatro Massimo “Bellini” di Catania.

che vede il musicista lettore ed interprete dei temi dominanti di un Risorgimento che è politico ma anche sociale, ed è specchio di contraddizioni e conflitti laceranti.

Accostato per similitudine a Re Lear di shakespeariana memoria, Rigoletto affronta al suo interno, adoperando però il dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse (“Il re si diverte”), tutte le tinte romantiche  che si  sviluppano attraverso una rete  di personaggi che si intrecciano e  ne intercalano i temi.

Ciascuno porta avanti un motivo tematico politico-sociale proprio e trova sviluppo sia poeticamente, grazie ad un magnifico libretto a firma di Francesco Maria Piave, sia grazie alla indiscussa creatività artistica  musicale di quel grande uomo che fu Giuseppe Verdi.

Rigoletto (Alberto Gazale) è il buffone gobbo, che presso la corte del Duca di Mantova (Jaeheui Kwon), si diverte a suscitare il riso mettendo alla berlina il Conte di Monterone (Davide Giangregori):un infelice padre alla cui figlia è stato tolto l’onore.

Amaramente deriso, il Conte maledice il buffone e su di lui, si abbatterà tragicamente la maledizione. Gilda (Daniela Bruera), la figlia di Rigoletto infatti, malauguratamente, subiste la stessa triste sorte: tolto le è  l’onore con l’inganno. Viene rapita da alcuni per fare torto, scherzando, a Rigoletto.

Ritenendo Gilda amante anziché figlia, viene condotta tra le mura del palazzo del duca e questi ne approfitta, mentre lei se ne innamora. Rigoletto scopre, comprende e amaramente tiene in segreto il dolore dell’affronto e medita di vendicare onore e dolore tramando la morte del duca assoldando un killer: Sparafucile (Maurizio Muscolino). Ma questo suo continuo agire scegliendo violenza, cattiveria, vendetta, si ritorce su di lui, attraverso Gilda che ne paga lo scotto.

E’ lei a morire per mano dello stesso Sparafucile che, per errore, la uccide, nel tentativo di risparmiare il duca, di cui anche la sorella Maddalena (…) è innamorata.

Bisognava consegnare un corpo a Rigoletto, segno dell’avvenuta uccisione e così, ancora si celebra il leit-motive dell’opera, questo o quello per me pari son: una vita vale l’altra, una donna vale l’altra (e questo apre un tema mai abbastanza affrontato, dai risvolti maschilisti e in cui l’abuso la fa da padrone).

Il corpo di un avventore qualunque, che disgraziatamente era quello di Gilda travestita, va bene lo stesso, pur di ingannare il committente dell’omicidio. Ma quello che potrebbe essere una giustizia superiore, in realtà diventa per la morale comune e di comodo, l’avverarsi della maledizione.

E’ fuor di dubbio, che sebbene sia Rigoletto ad attirarsi tutto il male a motivo della sua cattiveria, sia proprio lui a soffrire più di ogni altro. Una sofferenza però che non porta alla riflessione coscienziosa, ad una consapevole  arresa davanti ai propri errori.Questa sembra la morale prima ed ultima che tiene legato ogni parte di questo magnifico  melodramma.

In effetti, nel progetto iniziale, La maledizione avrebbe dovuto essere il titolo del lavoro, poiché ne costituisce il motore, dando vita ad una storia d’amore, d’inganno e di morte.

I tratti antropologici sociali e culturali, comunque, permangono anche nel nostro tempo, nonostante un velo d’ipocrita emancipazione sembra avvolgere costumi e moralità non realmente svincolati da pregiudizi dominanti, abusi e discriminazioni. Tutto si ripete.

In questo caso, il riflettore è puntato sulle responsabilità di Rigoletto che continua a fare il suo lavoro di buffone cattivo, dopo aver ferito i sentimenti del conte, di cui ride. E’ lui che si attira la maledizione, se la va a cercare. Questo in realtà il vero monito.

La trattazione della triste vicenda è il pretesto per Verdi per andare a snidare la quasi dogmaticità del pensiero morale, delle debolezze e delle superstizioni di quel tempo e forse di ogni tempo. 

Quel vecchio maledivami…, punto nodale della tragica vicenda,

musicalmente trova la sua espressione in un continuo do puntato che attraversa tutta l’opera, una nota che sembra ineluttabile, tremendo.

Tutto il dramma si snoda attraverso duetti che riescono a rendere la complessità della vicenda e la sua tragicità, assegnando al teatro la sua legittima peculiarità che è quella del dialogo piuttosto che dell’assolo.

Il quartetto del terzo atto è bellissimo per diversi motivi: un gran fluire di melodie, ciascuna delle quali coerente col personaggio che la intona e con la diversa tragicità che vive. Contemporaneamente un duetto d’amore e d’altro canto un duetto in cui si perde la speranza perché si perde l’illusione dell’amore.  L’ultimo atto, la morte di Gilda, è terribile e bellissima, poiché in essa viene fuori la personalità di Rigoletto che non è un buono, ma rappresenta per ciò stesso, l’umanità intera. “Non è colpa mia ma è colpa della maledizione”.

Ora, quest’ultima rappresentazione al Teatro Massimo di Catania, pur possedendo elementi di pregio relativamente alla qualità della recitazione, del canto, della definizione caratteriale dei singoli personaggi, non può però registrare una omogenea resa a motivo di evidenti defaiance.

Il calo della qualità, impossibile nasconderlo, risiede nella scelta del tenore Kwon per la sua qualità timbrica e la potenza canora che sottilissima, leggerissima, spariva nel confronto con gli altri cantanti. La sua indecisione nell’azione scenica non ritagliava di lui certamente un tombeur de femme.

Il coro, diretto da Ross Craigmile, pur avendo riconosciute abilità interpretative, sfigurava per le eccessive aritmie. Sembrava non aver provato. Scadente perciò in molti punti. Di contro, il resto degli artisti, si muoveva verso un crescendo di bravura canora ed interpretativa che, nella scena finale, tocca il suo apice.

Bellissimi i costumi e suggestive le scene (realizzazione scenografica di Salvatore Tropea), entrambi di Roberto Laganà, regista del lavoro operistico, assistito da Giorgio Maria Laganà. Ben rispondono le coreografie di Giusy Vittorio e le luci di Salvatore Da Campo. L’orchestra del maestro Michelangelo Mazza mantiene tutto il tempo sostegno ed interazione intercalandosi con equilibrio con le voci e accrescendo con potenza il pathos contenuto nel tema.

Va meditato Rigoletto. L’opera contiene temi e problemi sempre attuali che chiamano in causa la persona in un globale coinvolgimento afferente alla sfera  umana, artistica e sociale.

Norma Viscusi

Norma Viscusi

Pianista. Insegna Musica nella sc. Media Q. Maiorana di Catania. Ha conseguito anche il Magistero di Scienze Religiose presso IRSS San Luca di Catania, Facoltà di teologica di Sicilia. Il suo interesse è poliedrico: musica, arte, cultura, volontariato e giornalismo. Collabora come editorialista, freelance, con diversi periodici e quotidiani. Fra questi Freedom 24, Zona franca, l’informazione, Aetnanet, Newsicilia, l’Alba. Ha pubblicato saggi di letteratura religiosa sulla Scapigliatura, Lo spazio di Dio in Tarchetti in La letteratura e il Sacro, narrativa e teatro, cura di F. D.Tosto, vol. IV ed. ESI, 2016 Napoli e per la collana “Nuova Argileto”, La Scapigliatura. Tra solitudine e trasgressione, Lo spazio di Dio in Tarchetti, Rovani e Dossi. ed. Bastogi, 2019 Roma. Ama dedicarsi in modo particolare a recensioni musicali e teatrali.

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