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“La Traviata” al Teatro Massimo Bellini di Catania

Mer, Apr 4, 2018

Spettacolo, Teatro

Verdi contro il perbenismo puritano e i falsi moralismi borghesi

Si, si minore, la diesis, si, la deisis, si semidiminuito, re diesis, re bequadro, do diesis, mi, do diesis… le note leggere, meste, drammatiche salgono sino al tetto del Teatro Bellini portando con loro il minuto di silenzio che la voce all’altoparlante aveva chiesto al pubblico per i due pompieri morti nell’esplosione della palazzina di via Garibaldi.

Il toccante preludio, che stabilisce già il senso della tragedia imminente, dallo struggente tema iniziale si scioglie nella melodia di “Amami Alfredo” e prosegue leggero frivolo, soprattutto grazie al movimento degli archi, sino ad evocare le gioie della vita mondana parigina come nei quadri impressionisti di Degas, di Renoir. Appena un attimo e, aperto il sipario, ci ritroviamo catapultati dentro una sfavillante festa. Il luogo? L’interno di una lussuosa villa. Ma non siamo nella Ville Lumière di fine Ottocento, bensì a Palermo, la Palermo di Vittorio Ducrot, di Ernesto Basile, la Palermo dell’affascinante Donna Franca Florio, soprannominata “La Regina di Sicilia”, “La stella d’Italia”, “L’unica. Una creatura che svela in ogni suo movimento un ritmo divino” come la descrive Gabriele D’Annunzio. Tra fili di perle, aigrettes di piume di struzzo appare Violetta, interpretata dal soprano catanese Daniela Schillaci, cantante lirica di fama internazionale ed applauditissima in tutti i teatri del mondo. L’artista quest’anno festeggia i suoi vent’anni di carriera. Le scenografie dell’opera sono le stesse che lo scenografo Zito ha utilizzato per la rappresentazione della traviata nel 2017 all’Act City Center di Hamamatsu in Giappone. Nel primo atto la scalinata è quella del Villino Florio, mentre nel secondo atto la casa di campagna riproduce nei minimi particolari la serra di Villa Whitaker Nella scena del ballo, il boccascena è invece decorato da un fregio Liberty, tratto da una carta da lettere dell’impresa Ducrot, mentre i tappeti sono riproduzioni stampate su moquette di originali di William Morris fondatore del movimento delle Arts and Crafts e insieme a Dante Rossetti, della Confraternita dei Preraffaelliti. Violetta entra in scena voluttuosa, elegante come Donna Florio nel celebre ritratto del pittore Boldini, il corpo poggia sull’anca destra, con un atteggiamento concupiscente, tipico delle sue rappresentazioni pittoriche più sensuali. Singolare è la storia di questo quadro. Il quadro, iniziato nel 1901 e finito nel 24, non potè essere acquistato dai Florio per un tracollo economico e Boldini lo vendette al Barone Rothschild che lo portò in America per poi essere venduto dagli eredi a Christie’s. L’opera riappare a New York da Sotheby’s per essere comprata dalla società Acqua Marcia di Francesco Bellavista e rimessa all’asta per le difficoltà economiche attraversate dalla società proprietaria dei più lussuosi alberghi in Sicilia. Pur di non fare finire il quadro in collezioni private il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci e Vittorio Sgarbi promossero campagne pubblicitarie per la racccolta di fondi, anche attraverso crowdfunding. Ma è nel 2017 che i marchesi Berlingieri Annibale e Marilda, acquistarono l’opera per riportarla a Palermo dove ha trovato la sua nuova dimora nel palazzo Mazzarino in via Maqueda a Palermo. Nel 1853 Verdi compose La Traviata nella sua casa di Sant’Agata vicino Busseto dove abitava con Giuseppina Strepponi, il cui passato non era privo certamente di chiacchiere e fonte di pettegolezzi, pertanto solo nel 1859 si unirono in matrimonio. Eppure nel 1844 Verdi aveva rifiutato di adattare in musica un testo di Victor Hugo Marion Delorme dai temi simili a La Traviata, spiegando che «Le donne puttane non mi piacciono in scena». Durante il soggiorno parigino Verdi assiste il 2 febbraio 1852 al Teatro “Vaudeville” a La Signora delle Camelie di Alexandro Dumas figlio, restandone entusiasta e mentre lavorava ancora al Trovatore, incaricò il librettista Francesco Maria Piave, che già per Verdi aveva redatto Ernani, Il Corsaro, Rigoletto ed altre opere, di comporre il libretto di testo. La prima della Traviata ebbe luogo il 6 marzo 1853 al Teatro “La Fenice” di Venezia. Fu un totale fallimento. Verdi rielaborò l’opera, ambientò l’azione intorno al 1700, decretandone l’anno successivo, il clamoroso successo e l’approvazione della borghesia bigotta e retrograda.

La Traviata è la Colazione sull’erba di Manet, scandalosa, irriverente, provocatoria. E’ ancora l’Olimpia, candidamente spregiudicata, è la Nanà di E. Zola, ma senza il disprezzo per i suoi amanti. Il libro di Dumas era basato sulla sua fallita storia d’amore in tarda adolescenza con Marie Duplessis, che proprio come Marguerite, muore consunta, dopo la dolorosa rottura. La tragica storia d’amore lasciò in Dumas un ricordo talmente indelebile che, 40 anni dopo, diede in dono a Sarah Bernhard, dopo la sua interpretazione di Marguerite, la lettera in cui dichiarava a Marie finita la loro passione. Dumas gliela lasciò dicendole che era l’unica piccola prova rimastagli per dimostrare che la storia di Marguerite (Marie) e Armand (Alexandre) era una storia vera. Verdi però a differenza di Alexandre Dumas non si lascia coinvolgere dal perbenismo puritano o da falsi moralismi borghesi. Lo dimostra la lettera scritta al padre per la sua discussa storia con la Strepponi che conclude «Dopo questa lunga spiegazione, volevo semplicemente dirti che insisto sulla mia libertà di azione, perché tutti gli uomini hanno questo diritto…, non dovresti lasciarti influenzare né integrare le tue idee con quelle di una città, che deve essere detto, non mi voleva come organista e che ora ha diventare ossessionato dal pettegolezzo su ognuna delle mie azioni e su tutta la mia vita privata…».

Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata sono le opere appartenenti alla trilogia popolare verdiana. Gli eroi di queste tre opere sono animati da passioni smodate ma riguadagnano la loro umanità, e forse la loro redenzione, attraverso l’amore, il dolore e la morte stessa. Verdi come uno scultore scava nella musica l’immagine di Violetta, ora delicata e sensibile, ora intima e profonda, ora tragica. Per ottenere questi effetti ha molta importanza il trattamento musicale della parola. La musica può esaltarla nella sua natura fonetica e semantica, dare espressione alle sillabe, rendendola incomprensibile attraverso l’uso dei vocalizzi, che divengono cromie espressioniste per avvicinare il pubblico al personaggio, alla sua vita sentimentale e psicologica. Con ciò esprime perfettamente quella mescolanza di colpi di taglio e di punta che costituiscono il cesellato, la dialettica o il segreto della musica verdiana. Fortemente emotivo e avvincente il duetto tra il padre di Alfredo, Giorgio Germont, il baritono Piero Terranova, e Violetta Dite alla giovine sì bella e pura/ch’avvi una vittima della sventura. La prosodia verdiana commuove il pubblico, e la sua musica diviene la materia che stavolta a colpi di sgorbia, ora più forti e violenti, disegna i due personaggi, come xilografie kirchneriane.

L’amore di Violetta è puro, il suo sacrificio è incommensurabile, il suo destino è straziante. Da Amami, Alfredo, quant’io t’amo…, che strappa applausi meritatissimi alla Schillaci, all’emozione di Ch’io non conobbi, essere amata amando!… sino allo sfavillio dei calici di cristallo dalle sonorità squillanti, il terzo atto si apre con un suono diafano, quasi spettrale. Lo sguardo del pubblico converge su di lei. La scenografia è buia, ingigantita dai pochi arredi: un letto decorato con “farfalle”, un comodino, un lume in vetro frangiato, un bicchiere d’acqua, l’odore delle medicine. In un attimo si passa dalla sinestesia del buio malato, all’ossimoro della funesta felicità. All’aria di morte si contrappone l’alba del giorno di Carnevale, che riecheggia di canti allegri, “Largo al quadrupede”. Violetta è la ‘’Fanciulla malata’’ di Munch, spettrale, rassegnata, lo sguardo rivolto alla vita che sente scorrere ed attraversarle il corpo ma per poi sfuggirle nell’emorragia della solitudine, dell’abbandono e del sacrificio.

Il 5 febbraio 1847, la prostituta nota come Marie Duplessis, una traviata antesignana, una volta regina del demi-monde parigino e probabilmente una delle prime celebrità del mondo moderno, morì di tubercolosi. Aveva solo 23 anni. In poche settimane, tutte le sue cose, incluso il suo pappagallo domestico, furono messe all’asta per pagare i suoi enormi debiti. Charles Dickens era tra la folla, in seguito commentò: «Si poteva credere che Marie fosse Jeanne d’Arc o qualche altra eroina nazionale, tanto profonda era la tristezza generale». Alfredo giungerà da Violetta in punto di morte e le promesse che si faranno sono pietose bugie come quella detta dal dottore Grenvill Coraggio adunque… la convalescenza non è lontana.

Dopo tutto, le regole erano chiare per le eroine romantiche del diciannovesimo secolo: che tu fossi Marguerite Gauthier (indimenticabile nel 1939 l’interpretazione della divina Greta Garbo), Madame Bovary, Manon Lescaut, Anna Karenina, o Violetta Valèry la morte era il luogo in cui la tua storia conduceva inevitabilmente…

Oriana Oliveri

 

 

 

 

 

 

Danilo Festa

E’ laureato in Scienze Politiche. E’ consigliere comunale. Fa parte del coordinamento del comitato “No Discarica” di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia. Collabora con il periodico “l’Alba”.

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