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“Carmen” di Bizet al Massimo Bellini di Catania

Ven, Mar 13, 2020

Spettacolo

UNA STORIA ARDITA, PASSIONALE, CALDA, SEMPRE PALPITANTE!

UNA STORIA ARDITA, PASSIONALE, CALDA, SEMPRE PALPITANTE!

Sold out per sette recite! 

Frizzante l’atmosfera già nell’attesa. Fuori dai cancelli, gente bella, sorridente ed elegante come un tempo

Ma chi poteva prevedere fino a qualche mese fa, quando gli appelli sui social erano continui e preoccupanti, paventandone  la chiusura, che il teatro Massimo Bellini di Catania sarebbe risorto in modo così glorioso!

Abbonati e non, hanno risposto all’appello con generosità insospettata, richiamati certamente da una nuova compagine dirigenziale di eccellenza, (primo fra tutti il sovrintendente Giovanni Cultrera, noto per stile, signorilità ed alta competenza e non da meno, Fabrizio M. Carminati, direttore artistico e finissimo direttore d’orchestra) e da un cartellone affascinante, che ha lasciato aprir le danze ad una donna irresistibile: Carmen!

Sold out per sette recite! Frizzante l’atmosfera già nell’attesa, fuori dai cancelli, gente bella, sorridente, gente elegante, come un tempo.

E’ lo spettacolo di giorno 1 marzo. Bizet vive ancora e fa palpitare con la sua storia ardita, passionale, calda.

Carmen, Opéra-comique in quattro atti di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, tratta dall’omonima novella di Prosper Mèrimèe (1845) e ritenuta dissoluta a motivo dei contenuti effettivamente audaci per l’epoca.

Finalmente si entra… com’è bello il nostro teatro!

Daniela Schillaci (Micaela)

Una gemma, uno scrigno, è festa dentro, e già comincia lo spettacolo con la sua meravigliosa overtoure. Si aprono le scene e subito catapultati nella brulicante piazza di Siviglia, tra un via vai di passanti e di soldati appare lei, Micaela, la non protagonista che però conquista immediatamente l’attenzione e l’ammirazione di tutti: indiscutibile la sua classe, il suo timbro maturo, la sua interpretazione disinvolta, lieve, la sua gestione della scena: Daniela Schillaci, soprano, ormai inscritta nel firmamento delle voci più belle e talentuose, che riapparirà in modo  eclatante nell’ultimo atto, e darà un saggio di grande maestria e pathos con l’aria je dis que rien ne m’épouvante. Applausi lunghi e fragorosi per lodare l’interpretazione accorata di un turbinio di sentimenti e conflitti e preghiera, dal volto e dal pathos cosi femminile, che nessuna donna può misconoscere e non sentire propria. Così Daniela, riesce a comunicare in modo efficace i turbamenti di un testo denso, sostenuto da una musica raffinatissima, conferendo alla sua professionalità una valenza umana matura e di spessore.

Anastasia Boldyreva (Carmen)

Ben altri sono gli aggettivi e i meriti da attribuire alla sua antagonista, Carmen, penalizzata dal fatto che pur essendo molto brava e possedendo timbro e tecnica, ahimé, è una mezzosoprano e non può dar sfoggio eclatante di virtuosismo d’effetto come fa un soprano che, per le tessiture alte della voce, fa più trascinante effetto! Dunque certamente più duro è il lavoro a suo carico, poiché deve misurarsi con “l’effetto soprano” e imporsi con maggiore dose di bravura. E a dire il vero, è stata all’altezza del suo ruolo, Anastasia Boldyreva anche se talvolta, mancando la voce di corposità, la brava artista ha saputo sapientemente caricare il suo personaggio con una azione scenica di grande veemenza: sensualità, padronanza di sé, elegante sex appeal, hanno restituito l’immagine di un’artista completa ben compenetrata nel suo ruolo e meritevole dei larghi consensi ricevuti.

Queste le due figure dominanti e non solo perché protagoniste, ma proprio perché bravura, dono timbrico e fisic du role, mettevano in secondo piano purtroppo la buona volontà e l’impegno anche di don Josè Gaston, il tenore Zi-Zhao Guo, che pur non mostrando pecche nella sua gradevole performance, ha dovuto faticare molto per non essere divorato, ben sapendo di esser sceso  nell’arena insieme a due leonesse.

Di tutto riguardo gli altri interventi, che se pur brevi, ben incastonati nell’architettura generale della drammatizzazione canora: il torero Escamillo-Simone Alberghini, baritono, dalla voce pastosa e vibrante, e ancora bravi il contrabbandiere Le Dancaïre – Filippo Lunetta, tenore; il contrabbandiere Le Remendado- Saverio Pugliese, tenore; il sergenteMoralès Claudio Mannino-baritono e il tenente Zuniga –Gaetano Triscari, basso. Brave anche Le zingare, Frasquita Anna Delfino e  Mercédès – Sonia Fortunato, entrambe soprano e l’intera compagine di cantanti non citati.

Il coro, diretto da Luigi Petrozziello, pur avendo registrato qualche defaiance ritmica si è fatta perdonare poi per la sua vivacità mentre i piccoli monelli, Coro di voci bianche interscolastico “V. Bellini”, diretti da Daniela Giambra, deliziosi e bravi hanno dato gioia e catturato simpatia.

Chapeau come sempre all’orchestra del teatro, autentica gemma, diretta da Takayuki Yamasaki.

Più che egregi dunque gli elementi musicali che hanno trovato contesto adeguato ed efficace  nelle scene, che ben si  adattavano al carattere di ogni atto: colori, costumi, drappi, scenografie e azioni  sceniche, hanno reso più significanti i diversi momenti dell’Opera.

Tutto ciò ad onore certamente del suo regista, Luca Verdone, abilmente coadiuvato da Virginia Vianello progettista per le scene, e poi da Giusy Vittorino, per i movimenti scenici, altamente coreografici, tra le suggestive luci di Franco Buzzanca che molto ha giocato con i toni caldi e passionali del rosso, sfondo integratore su cui i bei costumi risaltavano, e di cui Giovanna Giorgianni è assistente.

Tutta l’ensamble delle maestranze dunque si è ben adoperato per la resa globale, contando su un nuovo allestimento scenico in coproduzione con Fondazione Teatro Massimo di Palermo e con i sopratitoli in italiano e in inglese a cura di Prescott Studio, Firenze, con Inserra Chair (Montclair State University) e ICAMus, USA.

Il varo è dunque andato e lascia ben sperare in un prosieguo di stagione esaltante, e non è poco, in un momento in cui l’intera società ha bisogno di trarsi fuori da una decadenza etica e morale e rigenerarsi. L’arte può far tanto, kalòs kài agathòs, bello e buono, lo avevano sintetizzato efficacemente i greci: lasciamo che ci ispiri ancora.   

Norma Viscusi

Foto di Giacomo Orlando

Norma Viscusi

Pianista. Insegna Musica nella sc. Media Q. Maiorana di Catania. Ha conseguito anche il Magistero di Scienze Religiose presso IRSS San Luca di Catania, Facoltà di teologica di Sicilia. Il suo interesse è poliedrico: musica, arte, cultura, volontariato e giornalismo. Collabora come editorialista, freelance, con diversi periodici e quotidiani. Fra questi Freedom 24, Zona franca, l’informazione, Aetnanet, Newsicilia, l’Alba. Ha pubblicato saggi di letteratura religiosa sulla Scapigliatura, Lo spazio di Dio in Tarchetti in La letteratura e il Sacro, narrativa e teatro, cura di F. D.Tosto, vol. IV ed. ESI, 2016 Napoli e per la collana “Nuova Argileto”, La Scapigliatura. Tra solitudine e trasgressione, Lo spazio di Dio in Tarchetti, Rovani e Dossi. ed. Bastogi, 2019 Roma. Ama dedicarsi in modo particolare a recensioni musicali e teatrali.

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