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“La Lupa” di Verga e “Il berretto a sonagli” di Pirandello al “Bellini” di Catania

Sab, Mar 16, 2024

Primo Piano, Spettacolo

DELUDE LA RISCRITTURA, RECUPERA LA MUSICA

«Teatro è templum, recinto sacro, luogo improfanabile; o, concedendolo all’evoluzione dei tempi e dell’Arte, libertà vincolata dalle origini celesti non però necessariamente inviolabili se circoscritte al recinto».

di Pino Pesce *

Da sx: Sergio Escobar (Nanni), Nino Surguladze (Assunta La Bella), Irina Longu (Beatrice Fiorica), Rocco Cavalluzzi (Spanò). Tutte le foto sono di Giacomo Orlando, fotografo ufficiale del Teatro Massimo “Bellini” di Catania

“Libertà di scegliere la Bellezza”. Massima condivisibile questa riportata sulla copertina (come leitmotiv) del libretto del dittico “La Lupa” e “Il berretto a sonagli”, rispettivamente (come avrebbe desiderato la Letteratura) di Verga e di Pirandello, proposti dal Teatro Massimo “Bellini” di Catania dal 2 al 9 marzo 2024. Ma teatro è templum, recinto sacro, luogo improfanabile; o, almeno, concedendolo all’evoluzione dei tempi e dell’Arte, libertà vincolata dalle origini celesti non però necessariamente inviolabili se circoscritte al recinto.

Irina Longu e Alberto Gazale (Ciampa)

Dico questo per l’operazione di stesura narrativa impropria, fatta al suddetto dittico, in particolar modo alla “Lupa”, alla quale dell’eccelso Giovanni è rimasto soltanto il titolo. Parere diverso per “Il berretto” pirandelliano, dove almeno un’orma è rimasta anche se letterariamente mutilata e violata; per cui, pur restando tutti “uomini d’onore”, mi ritrovo a parlarne “al funerale” triste della “Lupa” con di fronte il paradosso del quale non si è affatto curato il regista Davide Livermore, il quale addirittura ne ha rincarato la dose nell’epilogo di Giuseppe Di Leva, stravolgendolo in peggio, facendo dare dalla Lupa una pistola a Nanni che se la scarica nella tempia destra. Seguono, a corona del tragico quadretto, scarpe rosse disposte, come piena liceità, dalla fedifraga suocera sulla ribalta. Eppure il pubblico, che ha avuto occhi per vedere, ha applaudito compiaciuto.

Irina Longu (Mara con figlia)

Ma, librettista Di Leva e musicista Tutino, bastava un altro titolo per non uscirne ammaccati, se non proprio letterariamente e linguisticamente (qualche congiuntivo trascurato) almeno moralmente.

Nino Surguladze (La Lupa) e Sergio Escobar (Nanni)

Quante operazioni di riscrittura di opere sono state fatte con e senza lo stesso titolo; da Virgilio a Dante, passando, a scendere e a salire, per una pleiade di autori più o meno famosi. Ci sono però contesti e contesti. Possiamo immaginare Arthur Laurents, Stephen Sondheim e Leonard Bernstein che titolino “Romeo e Giulietta” il loro capolavoro mondiale anziché “West Side Story”?

In primo piano Irina Longu, Il berretto a sonagli

Del “Berretto a sonagli”, libretto di Fabio Ceresa, dicevo, rimane soltanto l’orma che il regista esalta come prerogativa di chi conosce «profondamente il linguaggio dell’opera» perché ne avvantaggerebbe «lo scavo psicologico dei personaggi affidato alla musica» che innalzerebbe il teatro a «denuncia». Non mi pare ci sia nella pièce lirica codesto assunto. Vedo soltanto anime dimezzate ed omologate all’accettazione passiva della vita per difendere un arrivo e/o una posizione sociali o, peggio ancora, un privilegio, magari per vizi da mascherare; e poi quel Ciampa, divenuto a capo di chissà quale cupola mafiosa, atta a tenere tutte le animelle di contorno legate a sé  pur di non scoperchiare la tresca fra la giovane bella moglie e il marito della signora Fiorica. Ma guarda che fior di mafioso birbone! C’è comunque il salto: Ciampa da pupo viene promosso a puparo con tanto di patente mafiosa che accetta financo le corna. Nel vortice del gioco di potere mafioso viene risucchiato anche il delegato Spanò; l’unica a starne fuori è Beatrice Fiorica che si ribella, denuncia e chiede giustizia. Ma quest’ultima non arriva; per cui ci è sembrato di vedere una Sicilia spuntata che ama il sonno. Ma codesta Trinacria è quella raccontata, ma con ben altra tempra narrativa, da Tomasi di Lampedusa per bocca di don Fabrizio Salina. Insomma viene fuori una “corda civile” che implora lo status quo: Fifì, Assunta, Spanò e Fana (urlando disordinatamente, tra l’ira e le lacrime) E’ pazza! Pazza! PazzaI (Beatrice raggiunge il braccio dell’appuntato Logatto e viene scortata fuori dalle tre guardie, seguita dalle grida dei presenti. Ciampa si butta a sedere su una seggiola, scoppiando in un’orribile risata di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione).

Nino Surguladze e Sergio Escobari in una scena de La Lupa

Grazie a Dio la scrittura musicale di Marco Tutino ne è uscita non corrotta; ha coperto i burroni narrativi e sollevato l’ascoltatore in pregevoli atmosfere sonore anche quando sono scivolate nella musica leggera col jazz, col rock o con “Nun è peccato” di Peppino di Capri nel caso della “Lupa”, ambientata negli anni del boom economico. D’altronde la sperimentazione e l’eclettismo musicali di Tutino sono riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. D’accordo con Paolo Forlani che bonifica gli «eventuali imprestiti da opere del passato» del maestro di Milano, trattandosi «casomai di assimilazione e di riproposizione aggiornata di moduli già assodati nella tradizione dell’opera ottocentesca e della prima metà del Novecento» e cita la morte di Puccini (1924) come data “spartiacque” (Come suona “Il berretto a sonagli”?, libretto di sala del Teatro Massimo “Bellini” di Catania, 2024).

Accattivanti le scenografie di entrambe le opere; suggestivo il digitale. Avrei risparmiato però i giochi rossi nel “Berretto a sonagli” per non sciupare il simbolismo delle nuvole di sangue che nella “Lupa” annunciavano la tragedia. Comunque onore alla fantasia degli scenografi; in particolare per il nostalgico Natale che ha fatto sognare coi suoi fiocchi di neve che scendevano su una strada ferrata e sul tram che la ripercorreva.

Onore poi a tutti gli interpreti con palma, anche per i doppi ruoli, a Nino Surguladze (La Lupa e Assunta La Bella), Sergio Escobar (Nanni e Fifì La Bella) e Irina Longu (Beatrice Fiorica e Mara); Di rilievo anche le interpretazioni di Alberto Gazale nonostante l’ingrato ruolo di interpretare Ciampa e di Rocco Cavalluzzi (Spanò).

Tutto sommato trarrem gli auspici… Il Teatro Massimo “Bellini” di Catania, infatti, sotto la sovrintendenza del maestro Giovanni Cultrera di Montesano, è diventato uno dei migliori fiori del Teatro operistico italiano.

Era [però] alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna […]

* La recensione è stata già pubblicata su “L’Informazione”, diretta da Luciano Mirone

Già docente di Materie Letterarie negli Istituti Superiori di II grado, si occupa di iniziative che promuovono l’arte e la cultura e/o che riguardano tematiche di forte valenza sociale. Si è anche occupato della divulgazione attraverso giornali vari del folclore, della tradizione e della storia della Sicilia e in particolare di Motta, di cui (come Assessore alla Cultura pro tempore) ha realizzato il volumetto Motta Sant’Anastasia, Guida alla città (Le Nove Muse Editrice,1999). Dal 1995 al 2000, si è attivamente impegnato nel Rione “Panzera” del paese natale (rinomato in Italia e all’Estero per il gruppo degli Sbandieratori, pluricampioni d’Italia), di cui è stato Presidente dell’Associazione Culturale dall’aprile del 1995 all’aprile del 1998. Nel 1997 (in occasione della “Festa Grande” in onore della Patrona Anastasia) ha scritto Trapasso di Sant’Anastasia, una sacra rappresentazione negli anni riproposta anche in occasione delle “Feste Medievali”, interpretata e diretta anche da nomi nazionali. Dal 2014 si è dedicato al teatro con interessanti e coinvolgenti rielaborazioni teatrali di cui ne ha curato anche la regia che hanno riscosso un rilevante successo, come “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello e “Rosa Balistreri – A memoria di una Voce”. Ha curato la presentazione di autori del mondo dell’Arte e della Letteratura e di video documentari a sfondo culturale e sociale, curandone il testo e la regia, che gli hanno procurato (avendoli proposti per le Scuole Medie Superiori) riconoscimenti anche dal Ministero della Pubblica Istruzione. il professore, collaboratore di quotate riviste culturali: Biologia Culturale, diretta da Gino Raya (uno dei maggiori filosofi e letterati del Novecento, ricordato di recente dal Corriere della sera, dove Pesce veniva annoverato fra i suoi discepoli) ) e Netum, diretta da Biagio Jacono, ha negli ultimi anni, diretto La Svolta, periodico d’informazione e di cultura, e l’Alba, mensile cartaceo d’arte cultura e società, attualmente giornale on line.

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