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“Un ballo in maschera” di Verdi al “Bellini” di Catania

Mar, Feb 26, 2013

Eventi, Spettacolo

L’opera ha inaugurato la Stagione lirica dell’anno 2013 e fa parte “dell’anno Verdiano”

Tra reminiscenze classiche e atmosfere “fantastico-soprannaturali”, al Teatro Massimo “Bellini” di Catania, con la regia di Luca Verdone e direzione musicale del maestro José Cura, è stato presentato Un ballo in maschera, noto melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Somma che si era rivolto alGustave III ou le bal masqué di Eugène Scibe. L’opera, allestita dalla fondazione Arena di Verona, con orchestra, coro e tecnici dell’E.A.R. del Massimo etneo, ha inaugurato la Stagione lirica dell’anno 2013 e rientra nel progetto “dell’anno Verdiano”, in occasione del quale il teatro ha celebrato il grande musicista conLa traviata a dicembre 2012 e concluderà con  Stiffelio nel mese di Ottobre 2013.

Ispirata alla figura del re di Svezia, Gustavo III, vittima di una congiura ordita durante un ballo in maschera, l’opera era stata destinata originariamente alle scene del Teatro San Carlo di Napoli, ma, dopo travagliate vicende, alla fine, debuttò al Teatro Apollo di Roma, il 17 febbraio 1859.

Pochi minuti dedicati alla sinfonia e il pubblico si trova già nel XVII secolo, all’interno del palazzo del governatore della colonia inglese di Boston, il conte Riccardo, il quale ha organizzato per il giorno successivo un ballo in maschera. Egli mentre scorre la lista degli invitati sente il suo cuore trepidare perché i suoi occhi hanno letto il nome di Amelia, moglie del suo segretario e amico Renato, da lui amata segretamente.

Renato mette in guardia il conte Riccardo di una congiura nei suoi confronti, capeggiata da Samuel e Tom. Un giudice intanto vuole indurre il governatore a condannare a morte la maga Ulrica, ma Riccardo vuole rendersi conto della cosa e sotto mentite spoglie si reca nel suo antro accompagnato dal paggio Oscar.

A questo punto la scena si tinge di noir, l’atmosfera si fa lugubre e dai “suoni” foscoliani e la maga è pronta a rivelare la profezia: «Omai tre volte l’upupa/ dall’alto sospirò;/ la salamandra ignivora /tre volte sibilò/…E delle tombe il gemito /tre volte a me parlò!». Suggestivo l’effetto scenografico enfatizzato dalla scena lugubre e dalla danza dei ballerini in fluide movenze attorno al calderone.

Il conte, mettendo alla prova Ulrica, avrà predetto che verrà ucciso da chi per primo gli stringerà la mano. Sarà Renato a stringergliela; per cui non si darà peso alla profezia. Anche Amelia si recherà dalla maga: vuole liberarsi dall’ossessione di amare Riccardo. La maga le consiglia di recarsi a mezzanotte a raccogliere un’erba magica nei pressi di un cimitero e farne una posizione liberatrice. La donna esegue le istruzioni, ma viene nascostamente seguita dal conte che aveva origliato nell’antro e scoperto quindi il suo tormento d’amore. Nel campo, illuminato dalla velata luna e dalle atmosfere gotiche, i due s’incontrano e si rivelano i propri sentimenti: «Non sai tu che se’ l’anima mia…Oh, qual soave brivido/ l’acceso petto irrora! /…Irradiami d’amore/ e più non sorga il dì!»; sopraggiunge nel frattempo anche Renato per portare a Riccardo la notizia della congiura e di mettersi quindi ai ripari. Il governatore, allora, affida Amelia, che si era coperta frattanto coperta il viso, a Renato per ricondurla in città col patto di non scoprire la sua identità. Ma il sopraggiungere all’improvviso dei congiurati svelerà il mistero della donna quando questa, per salvare il marito, si frapporrà fra lui e i primi che vogliono colpirlo di spada: è la derisione dei congiurati («Ve’ la tragedia si mutò in commedia/ piacevolissima – ah! Ah! Ah! Ah!/ E che baccano sul caso strano/ e che commenti per la città») e l’umiliazione del segretario che ora cerca la vendetta («Così mi paga, se l’ho salvato!/ Ei m’ha la donna contaminato!/ Per lui non posso levar la fronte,/ sbranato il core per sempre m’ha!»).

Seguirà un patto fra i nemici del conte e Renato che sarà destinato (per estrazione a sorte: sarà la costretta mano di Amelia a determinarla) ad assassinare Riccardo. L’occasione la darà il prossimo ballo in maschera a casa del conte.

Nella grande ed elegante sala intanto nulla sembra turbare il ballo vivacizzato dai movimenti coreografici, curati da Giusy Vittorino. Ma la scena, dominata dal rosso, metafora del sangue, anticipa la tragedia che sta per compiersi. Infatti, nell’ultimo addio tra Amelia e Riccardo, quest’ultimo cade colpito a morte da Renato. Tra l’orrore dei presenti l’omicida sente crescere dentro di sé il rimorso quando apprende la verità proprio dall’amico morente. Riccardo aveva già deciso il rientro in Inghilterra per Renato e Amelia che non avrebbe più rivisto. E’ un crescendo drammatico che tocca l’acme quando Riccardo spira dopo aver dichiarato all’amico il suo perdono e rivelato l’inviolata purezza della moglie.

In stretta assonanza con il regista Luca Verdone, riporto le sue note di regia: «Nella prodigiosa ricchezza della partitura musicale del Ballo in maschera si stenta a riconoscere l’autore della Traviata e di Rigoletto e più ancora del Trovatore o dei Vespri siciliani.

La passione amorosa di Riccardo ed Amelia è più languida e sentimentale che nella Traviata e dunque il lavoro di lettura drammatica sui caratteri dei personaggi del Ballo in maschera ha posto molta attenzione ai contrasti tra i sentimenti dell’amore e quelli dell’odio, in un contesto dove regnano le tenebre».

E’ stata forte la commozione del pubblico di fronte a questa dolorosa storia d’amore che tutti i cantanti hanno contribuito a rendere coinvolgente; e segnalerei la particolare simpatia per un personaggio secondario: il paggio Oscar, eccellentemente interpretato dal soprano Angela Nisi che ha dominato le scene dal primo all’ultimo atto. Ma le forti emozioni al pubblico le ha donate il soprano Patricia Orciani nel ruolo di Amelia, raggiungendo il culmine, nel terzo atto, eseguendo l’aria «Morrò, ma prima in grazia/ deh! Mi consenti almeno/ l’unico figlio mio/ avvincere al mio seno./ E se alla moglie nieghi /quest’ultimo favor,/ non rifiutarlo ai prieghi/ del mio materno cor», carica di pathos drammatico.

Il meritato riconoscimento va però a tutto il cast del 26 gennaio, da me seguito; e precisamente il secondo. Ricordo, quindi, a completarlo: Roberto Iuliano (Riccardo), Enrico Marrucci (Renato), Elena Cassian (Ulrica), Angelo Nardinocchi (Silvano), Paolo La Delfa (Samuel), Concetto Rametta (Tom), Giovanni Monti (Giudice), Giovanni Monti (Un servo di Amelia).

L’orchestra del “Bellini”, diretta dall’energica e appassionata bacchetta di José Cura, nome illustra della lirica, ha dato il meglio, così come il coro diretto da Tiziana Carlini.

A rendere il lavoro ben fatto hanno anche contribuito l’imponente scenografia di Raffaele Del Savio e i costumi di Alberto Spiazzi, realizzati nel pieno rispetto della tradizione. Mentre a completare l’incantevole atmosfera sono state le suggestive luci di Salvatore Da Campo.

Rosa Maria Crisafi

 

Rosa Maria Crisafi

Laureata in Lettere Moderne presso l’Università di Lettere di Catania. E’ autrice del libro “Un inedito episodio artistico medievale”. Insegna materie umanistiche presso istituti di scuola media di primo e secondo grado. Dal 2007 scrive per “l’Alba”.

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