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“Vita di Pi”, una fantastica storia di Yann Martel

Mer, Mar 13, 2013

Cultura

Un libro tra il romanzo di formazione, l’avventura, la favola e il realismo onirico

Vita di Pi è un libro che nasce per fame. Tanta ne aveva l’autore dopo aver lavorato ad una storia che non funzionava, senza direzione, priva di una scintilla di vita. Una fame quasi dolorosa che lo fa camminare su una traiettoria precisa come il caso e la fantasia In India arriva, alla ricerca della lentezza e della pace, per poi spostarsi in Canada e raccontare la storia di un cerchio, dell’infinito attraverso l’incredibile. Difficile collocare il romanzo di Yann Martel, in bilico tra il romanzo di formazione, l’avventura, la favola, il realismo onirico. Ma non si colloca l’infinito, l’amore, la salvezza, Dio. Non c’è definizione, etichetta che può ingabbiarli. C’è la storia:  la vita di Pi. Questo basta. Una sfida all’interpretazione, un incanto crudele che ha inizio a Pondicherry,un minuscolo stato federato a  sud di Madras, capitale di quella che fu l’India francese, una manciata di piccoli porti. Su questa porzione di costa naviga una frase tra fragranze di caffè e pane tostato: conosco una storia che le farà credere in Dio. Parole che diventano viaggio e ricerca, curiosità e desiderio di sfamarsi attraverso altre parole, un altro tono, un’altra cadenza. In Canada avviene l’incontro con la storia, con Piscine Moritol Patel. Un nome assai stravagante deciso dai genitori che non sapevano nuotare, sotto i racconti di Mamaji, un amico di famiglia, appassionato di nuoto e di piscine parigine. Mr Patel parla della sua infanzia a Pondicherry, dove c’era uno zoo gestito dal padre di come Mamaji gli insegnò a nuotare in quella luce liquidache è l’acqua. E del difficile rapporto col suo nome, Piscine, facilmente storpiabile dagli altri ragazzini, dell’offesa bruciante che ne derivava. Così, un giorno, al cambio di scuola cambiò il suo nome. Sceglie kierkegardianamente prima che gli altri scelgano per lui. Alla lavagna scrive la formula del diametro del cerchio:  π =3,14. Da allora il suo nome fu Pi, la salvezza, il diametro del cerchio, quella figura piana senza appigli esterni. Nel cerchio tutto si svolge al suo interno. Pi, una distanza dentro l’infinito, un numero infinito. Su questa scia Pi scelse anche le sue strade religiose: induista per nascita, abbracciò il cristianesimo per ciò che non riusciva a capire, per Gesù che ama, e l’Islam per Allah che è l’Amato. La sua vita scorre serena, in armonia con il profumo di cumino dell’India e con gli animali dello zoo. Fino a quando gli affari non tracollano e la famiglia Patel è costretta a partire. Il 21 giugno 1977 si imbarca su una nave mercantile giapponese, la Tsimtsun, insieme agli animali che devono essere venduti. Qualcosa va male. La nave affonda in 20 minuti. Pi si ritrova naufrago in una scialuppa di salvataggio, in compagnia di una zebra con una zampa spezzata, una iena maculata, un orango femmina del Borneo, e una tigre del Bengala: Richard Parker. Una convivenza inammissibile in nove metri quadrati, inaccettabile per la ragione. Un naufragio nel naufragio. Uno alla volta gli animali si annientano disperatamente per la loro stessa natura: la iena uccide la zebra e l’orango, la tigre uccide la iena. Restano il sedicenne Pi terrorizzato e Richard Parker, l’istinto animale  già narrato da Edgar Allan Poe, a navigare con la lentezza di unbradipo tridattile lungo la controcorrente equatoriale del pacifico, divisi da un’incerata,  da una zattera,  dall’estenuante ricerca della giusta distanza e di un territorio, dell’incessante lotta tra aggressività animale e il  suo contrario, tra il bene e il male stevensoniani.  Ma ciò che tiene in vita Pi è il soddisfacimento delle necessità della tigre. Sono fame sete a fargli sopportare le fatiche del mare, il peso dei pesci come il Santiago di  Hemingway, la noia nella paura, il terrore nell’apatia, la forza dinamica del coltello. E la salvezza. Pi la vede nell’arancione, colore dell’induismo, degli oggetti che gli servono a sopravvivere; nel verde, colore dell’Islam, di un paradiso carnivoro di clorofilla, in cui approda per salvarsi, nell’azzurro, nel bianco e nel viola dei fulmini, di quella religione per lui così frettolosa che è il cristianesimo. Dopo 227 giorni la tigre e Pi arrivano su una spiaggia del Messico, calda come la guancia di Dio. Richard Parker si congeda da Pi, senza nemmeno un addio. E la storia diventa un’altra storia, si potrebbe dire diametralmente opposta alla tradizione di Esopo e Fedro,  più in sintonia con ragione umana, meno salvifica per l’uomo. Gli animali ne hanno salvato la dignità, ammorbidito il superamento dei limiti, l’aggrapparsi alla parte più malvagia Ma si può scegliere a quale versione appartenere.

M. Gabriella Puglisi

M.Gabriella Puglisi

Dottore di ricerca in “Modelli di Formazione. Analisi Teorica e comparazione”. Laureata in Scienze politiche ha collaborato con diverse testate locali. Ama la lettura, la musica e il balletto; la notte e il mare. Non le piace la mancanza di autocritica.

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