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Catania corre a festeggiare la Patrona!

Ven, Gen 31, 2014

Cultura&Società, Eventi

Per tre giorni la città si ferma, rivolta tutta a glorificare Sant’Aituzza

Ogni anno a Catania, già da gennaio, la Città cambia aspetto per vivere intensamente Il tempo di Agata, un tempo che accoglie le tappe della vita e del martirio di Sant’Aituzza e che accompagna i devoti fino ai grandiosi festeggiamenti che ogni anno onorano la Santa Patrona.

Il tempo storico della Patrona si fa risalire a metà del III secolo, quando a Catania in una famiglia nobile e ricca nasceva Agata. La data non è mai stata storicamente accertata con esattezza, ma fu calcolata a ritroso partendo da un’altra che invece è certa, cioè il martirio avvenuto nel 251. Gli antichi atti vo­gliono che Agata, al momento del martirio, fosse poco piùche adolescente, per questo mo­tivo si fa risalire la sua nascita intorno all’anno 235 e, secondo tradizione popolare, sembra che sia nata l’8 settembre, una delle date più importanti del culto mariano, quella della nascita della Madonna.

La sua era una famiglia nobile e ricca, il padre Rao e la madre Apolla decise­ro di chiamarla Agata, che in greco significa «la buona». In questo nome c’era già racchiuso il suo destino: bontà e purezza furono, infatti, le doti che distinsero Agata sin dalla prima in­fanzia.

La giovane cresceva in santità: nel segreto dell’animo si era già promessa a Dio e, quando non aveva ancora compiuto 15 anni, sentì che era giunto il momento di con­sacrarsi solennemente. Il vescovo di Catania ac­colse la sua richiesta e, durante una cerimonia ufficiale chiamata velatio, le impose il flam­meum, il velo color rosso fiamma che porta­vano le vergini consacrate. E Agata da quel giorno divenne sposa di Cristo. Perseguitata dal feroce Console romano Quinziano, subì atroci tormenti fisici e morali, ma la sua fede in Cristo le fece superare ogni martirio, fino a quando Quinziano, impotente davanti alla sua incrollabile fede, la condannò a morte, una morte atroce: arsa viva sulla brace, trafitta da punte e lamine roventi. Era il 5 febbraio del 235. La tradizione racconta che a testimoniare la santità di Agata, dentro la fornace si verificò un miracolo: il fuoco che straziava il suo corpo non bruciò, invece, il velo. Per questa ragione il «velo di sant’Agata» di­ventò da subito una delle reliquie più preziose. Più volte portato in processione di fronte al fuo­co delle colate laviche dell’Etna ha avuto il potere di far arrestare il magma.

Le fonti storiche dicono ancora che, quando Agata fu spinta nella fornace, un violento terremoto scosse l’intera città di Catania.

I giorni clou della festa sono il 3, il 4 e il 5 febbraio, tre giorni in cui la città si ferma, proiettata interamente a festeggiare la sua Patrona che diventa presenza viva nei luoghi che molti secoli fa videro il Suo martirio.

Il 3 febbraio con l’uscita della “Carrozza del Senato”, e la processione dell’offerta della cera a Sant’Agata, elemento dominante dei riti, si apre il solenne triduo: 11 candelore, che rappresentano i mestieri e le corporazioni cittadine, vengono portate in corteo, insieme alle 2 settecentesche carrozze del Senato che appartenevano al Senato governante. La processione, anticamente chiamata della luminaria, esprime devozione ed espiazione: in cima ai ceri, le fiamme rappresentano, con il loro ardere, la fede viva del popolo. Alla suggestiva processione prendono parte il clero, le autorità cittadine con in testa il sindaco e la giunta comunale, gli antichi ordini militari e cavallereschi. La processione segue un percorso secolare a testimonianza del martirio della giovane Agata: dalla Chiesa di Sant’Agata alla Fornace in Piazza Stesicoro per poi raggiungere, attraverso la via Etnea e piazza Duomo, la Cattedrale. In serata, poi, i festeggiamenti assumono un carattere mondano con il galà a Palazzo degli Elefanti con le più alte cariche istituzionali cittadine che assistono  in Piazza Duomo ai  tradizionali fuochi della ‘Sera del Tre‘ con spettacoli piromusicali di alta qualità e l’inno trionfale allaSantuzza. E’ un festino che si chiude presto per non mancare al primo, vero appuntamento con la Santa: la Messa dell’Aurora.

Giorno 4 è il giorno atteso da un anno intero da tutti i catanesi: si vive con un’enfasi incredibile  l’abbraccio della Martire con la Sua Catania. Già dall’alba la monumentale cattedrale di Sant’Agata è gremita di fedeli in sacco bianco per assistere all’apertura della cameretta e, finalmente Sant’Aituzza può riabbracciare la sua gente. E’ questo il momento più emozionante di tutta la festa, l’apoteosi della fede e della devozione che si esprime in un tripudio di urla, lacrime e preghiere.

Dopo la Messa dell’Aurora, il busto contenente le reliquie della Santa, scintillante di preziosi, viene issato su un fercolo d’argento e finalmente portato in processione. Sono circa cinquemila gli uomini che sostengono la possente vara, che, spoglia, pesa 17 quintali, ma caricata di fercolo, scrigno e ceri votivi può arrivare fino ai 30. Quello che appare ai visitatori è uno spettacolo senza pari al mondo: un fiume bianco di uomini, aggrappati a due cordoni di oltre 100 metri, trainano a vara che viene instancabilmente seguita in processione da centinaia di cittadini “devoti”, vestiti con il tradizionale “sacco” (tunica bianca stretta da un cordone, cuffia nera, a’ scuzzitta, fazzoletto e guanti candidi). Il cerimoniale della festa di Sant’Agata è dettato dal cerimoniale cinquecentesco di Don Alvaro Paternò ed è immutato da secoli. La processione dura tutta la giornata: il fercolo, ancora una volta, ripercorre le vicende della storia della Santuzza, che si intrecciano con quella della città: il duomo, i luoghi del martirio, percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla Santa il rinnovarsi del triste ricordo. Una sosta viene fatta alla “calata da’ marina”” da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della Santa per Costantinopoli.

La cattedrale accoglie nuovamente il fercolo a notte fonda, alla fine della lunga, estenuante processione. Il 5 febbraio, l’ultimo giorno di celebrazioni, i garofani rossi che si trovano sul fercolo vengono sostituiti con i garofani bianchi, che simboleggiano la purezza. Nella cattedrale, in mattinata, si celebra il solenne Pontificale alla presenza dei vescovi di tutta la Sicilia e di un legato pontificio; al tramonto, poi, una nuova processione, il giro interno  della città a cui partecipa una moltitudine incredibile di gente. Il fercolo sale per Via Etnea, giungendo a tarda notte a Piazza Cavour, meglio conosciuta come il “Borgo”, quartiere in cui vennero accolti i profughi di Misterbianco in seguito all’eruzione del 1669. E al Borgo, ancora una volta, il sacro si fonde con il profano, chi prega aspettando la Santa e chi addenta il panino con la carne di cavallo… Ma questa è la festa di Sant’Agata a Catania: il folclore cementa la festa religiosa con la sua radice popolare e ne fa una festa unica nel suo genere, unica nel mondo!

Il giro interno riprende giù per la via Etnea fino al momento sicuramente più spettacolare di tutta la festa, a cchianata ‘i Sangiulianu, dovetra due ali di folla che incita e sostiene gli esausti portatori, il fercolo viene trasportato di corsa dai devoti lungo la ripida salita di Via San Giuliano.

All’alba del sei febbraio il fercolo arriva nella splendida via Crociferi, la Strada Sacra di Catania, dove, dinanzi alla Chiesa di S. Benedetto Sant’Agata riceve l’omaggio floreale delle Monache di Clausura e si assiste, in un silenzio quasi surreale, ai loro canti angelici dedicati alla Santa.

E’ già alto il sole quando una folla stremata ma mai sazia riconsegna Sant’Aituzza alla Sua Cattedrale.

Agata Rizzo

Agata Rizzo

Insegnante di scuola dell’infanzia nel IV Circolo Didattico “Michelangelo Virgillito” di Paternò, II Collaboratore del Dirigente Scolastico e Responsabile della Scuola dell’infanzia.
Referente del progetto Pari Opportunità “Bambine e bambini, uguali…ma diversi”, da 10 anni coordina il giornalino scolastico “La Gazzetta RosAzzurra” sul tema delle pari opportunità e della genitorialità, diretto alle famiglie degli alunni. Negli anni ha collaborato con riviste del panorama pedagogico nazionale quali “Scuola Materna”-Ed. LA SCUOLA- e “Infanzia”-Alberto Perdisa Editore.
Nel 2006 è risultata II finalista con il progetto sulle Pari Opportunità “Bambine e bambini, uguali…ma diversi” al I Premio “Piccolo Plauto”, edito dalla Rivista Infanzia e dall’Università di Scienze dell’Educazione di Bologna.

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