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Una buona politica per una buona scuola e una migliore società

Dom, Nov 2, 2014

Cultura&Società

Ritornare ai fatti reali e quotidiani di una cultura che dà “valori” e non “evasioni”

La scuola è un luogo di scambio di cultura e non può ignorare la tradizione e l’ambito culturale in cui si nasce e si cresce. Il rapporto tra docente e discente è ottimale soltanto quando diventa un rapporto privilegiato e basato su un piano di apprendimento e scoperta, il docente accende la luce e il discente scorge cosa si nascondeva nel buio. Troppo spesso gli alunni di oggi sono distratti dall’influenza dei media nella loro vita e respingono il contatto con la cultura intesa come nuovo orizzonte da conquistare, perché trovano più facile aggrapparsi alle verità indotte da altri percorsi devianti. Tutto questo produce effetti spesso deleteri sulle giovani menti che finiscono per perdere coraggio e creatività. Quello che ho letto nella Buona Scuola del governo Renzi è diretto a disciplinare i docenti e a metterli in condizione di soggezione verso la classe dirigente. Tuttavia c’era una volta l’autonomia dell’insegnamento che adesso, invece, è diventata autonomia della scuola, cioè la nuova scuola autonoma è diventata un’azienda che deve produrre “cervelli”. Anche ammesso che lo studio che la Spagna sta conducendo per individuare il rapporto tra cibo e intelligenza (pare che ci sia una grande connessione tra un’alimentazione bene equilibrata e ricca di vitamine e proteine e le funzioni della memoria e dell’intelletto) dobbiamo tenere conto del degrado economico e quindi alimentare dei ceti più poveri e dobbiamo anche sapere che, per una serie di motivi, gli studenti spesso entrano a scuola già in stato di abbandono morale da parte della famiglia.  Quello che occorre, dunque, è ricostruire i rapporti tra scuola e famiglia e anche con la parte civile della società, occorre tornare ad una visione di rapporti civili con lo Stato, occorre tornare ai fatti reali e quotidiani di una cultura che propone “valori” e non “evasioni” di breve durata e di facile accesso. Per fare questo non basta formare e riformare gli insegnanti ma bisogna alzare il livello della società tutta che, attualmente, presenta una rilassatezza morale che è troppo diseducativa. Basti pensare al gioco d’azzardo legalizzato oppure a certe esternazioni di politici maleducati, sopraffattori e a volte anche ladri.

Per arrivare ad una scuola di alto livello bisogna riavvicinare il docente alla sua funzione specifica ed autorevole che, nella confusione delle ultime riforme scolastiche della Destra e nel guazzabuglio burocratico, è venuta a mancare. Dunque va bene che ne La Buona Scuola si tenda a semplificare la burocrazia ma bisogna anche procedere nel rispetto delle indicazioni del corpo docente le cui istanze non possono essere ignorate dalle istituzioni ministeriali. Proporre ai docenti un insieme di regole che vanno ad aggiungersi a quelle già in uso, arrivando perfino a decidere di utilizzarli in altre mansioni d’ufficio che possono risultare complicate per chi ha insegnato tanti anni, è veramente degradante.

E cosa dire del fatto che non ho trovato nella Buona Scuola “renziana” nessuna indicazione e sostegno alle difficoltà d’insegnamento che si riscontrano nella realtà delle scuole in carcere, dove spesso i regolamenti carcerari finiscono per limitare la funzione educativa della scuola. In carcere, per quanto da anni la scuola sia stata chiamata a fare da guida alla riabilitazione dei detenuti, sopravvive una sorta di resistenza passiva all’istruzione, che viene vista come un privilegio, quasi un premio, che il detenuto deve meritare scontandone l’elargizione da parte delle istituzioni. Quasi sempre il detenuto che frequenta la scuola perde altri privilegi, e questo quando invece dovrebbe essere ben considerato per l’impegno gravoso che si assume di riprendere gli studi, magari dopo anni di lontananza dai banchi scolastici.

Carmela Blandini
docente della scuola pubblica italiana

Redazione l’Alba

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