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“L’ultima fatica di Josef” di Alfonso Beninatto

Mer, Ott 14, 2015

Cultura

L’Autore-alpinista racconta la montagna e il suo ecosistema

Il libro d’Alfonso Beninatto L’ultima fatica di Josef (Piazza, Silea, 2014, pp. 208, € 14) è il riflesso della grande passione dell’autore per la montagna e per il suo ecosistema, estrinsecata in tutta la sua vita. Infatti egli è prima di tutto alpinista e poi insegnante e autore di vari libri, ma è stato anche amministratore civico (sindaco del comune di Breda di Piave e consigliere della provincia di Treviso).

Josef (la cui fotografia appare in copertina) è uno stambecco che per la sua età di circa 10-12 anni può definirsi vecchio e si è ritirato dal branco, al quale non può essere più utile, per condurre vita statica e solitaria. Casualmente scoperto dall’autore in una sua ascensione sulle Dolomiti, ne diventa amico e dialoga con lui, che decide di condurlo con sé verso un ghiacciaio, per toglierlo dal torpore che poco prima lo faceva sembrare morto ed offrirgli l’occasione di qualche attività; ma l’animale si muove a malapena, tanto che ad un certo punto egli lo lega a sé con un cordino annodato alle corna, trainandolo: e con tutto ciò, a causa di quest’ultima fatica l’animale spira in cospetto di quella natura ch’era stata il suo mondo.

Questa è soltanto una della ventina di storie che compongono questa raccolta ed è essa che dà il titolo al libro. Fra le altre ci sono: quella d’un gracchio mutilato che per un’intera giornata segue l’autore in un’ascensione e viene ritrovato tre anni dopo, riconosciuto per la mutilazione alla zampa; quella d’un agnellino neonato finito in un burrone, che l’autore— con gran dispendio d’energie — recupera e affida al resto della sua ansiosa famigliola, ricevendone un segno di gratitudine dalla pecora madre; quella d’una scoiattola per la quale il compagno chiede ed ottiene soccorso (anche se essa poco dopo muore), guidando verso l’infortunata l’autore, che poi in un alto anfratto d’un tronco (per raggiungere il quale fatica non poco) scopre il nido degli scoiattolini derelitti, a cui istantaneamente dà il cibo che ha con sé e qualche giorno dopo con altra apposita arrampicata porta dei viveri in abbondanza; quella d’un sacerdote alpino che celebra la messa ad oltre 2.000 metri d’altitudine in occasione d’un raduno interregionale; quella d’una pastorella che parla con una volpe; quella d’un piccolo montanaro che va in giro fra le cime alla ricerca di suo padre mai conosciuto e anche lui viene rapito da un temporale; quella d’un cane senza padrone trovato su una roccia, rifocillato, curato, trasportato a valle e consegnato ad un canile; quella della statua del Cristo Pensante sul Monte Castellazzo, per l’autore occasione ora di commozione, meditazione e preghiera, ora d’indignazione e disgusto a causa del turismo di massa e delle sue conseguenze (baccano, sporcizia, inquinamento ecc.); quella d’una gita scolastica di tre giorni in alta montagna.

L’autore deplora la possibilità data alle automobili di raggiungere siti un tempo inviolati, come ad esempio le Tre Cime di Lavaredo, patrimonio dell’umanità, per le quali è stata approntata una strada asfaltata, fonte d’inquinamento dell’aria, del paesaggio e del silenzio; e, mentre della gente della Carnia elogia “il saluto cordiale, l’aiuto reciproco, l’ospitalità” (p. 186), di quella del Tirolo Meridionale decanta la pietà religiosa tramandata, nonché “l’aiuto reciproco, l’armonia tra vecchi e giovani, l’amicizia, il farsi compagnia” (p. 196); e fra le tante cose apprende che nella credenza popolare le previsioni meteorologiche vengono fornite non soltanto da certi animali ma anche da certe piante come funghi, carlina e taràssaco.

Fin dalle prime pagine emerge il valore educativo di quest’opera: il voler trovarsi fra monti e cielo, preferibilmente in solitudine, evidenzia il carattere meditativo dell’opera, in cui all’estasi per le bellezze del creato (paesaggio di cime, boschi, torrenti, cascate…) l’autore aggiunge la considerazione di ciò ch’è l’uomo di fronte alla natura e al suo creatore: “chi sono, da dove vengo, dove vado” (p. 187): e al riguardo egli propone d’insegnare già nelle scuole elementari la filosofia per educare al pensare. Inoltre il voler salire excelsior, sempre più in alto, fra disagevolezza dei luoghi, stanchezza, intemperie e difficoltà varie, rappresenta un efficace allenamento e quindi un’educazione della volontà sulla scia della pascoliana “Piccozza”. Né va sottovalutato il grande amore che l’autore manifesta per gli animali, per il cui benessere egli compie notevoli sacrifici, in uno spirito di francescana fratellanza, giungendo a rimproverare i compagni che hanno ucciso una vipera. Infine non mancano giudizi critici sulla scuola d’oggi e sul suo degrado, in particolare circa l’attuale frenesia d’effettuare gite molto lontano da casa, trascurando invece il territorio che sta a ridosso dei singoli istituti scolastici.

Il fatto poi — come opportunamente mette in luce l’autore — che queste montagne, oggi tanto ammirate, per parecchi anni sono state zone di contesa, conflitto e morte, non può non far riflettere il lettore sull’insensatezza della guerra, dovendosi nel caso d’un territorio preteso da due o più Stati interpellare i residenti per far decidere a loro con chi stare, secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli enunciato dal presidente statunitense Wilson e recepito dalla nostra Costituzione.

Per questi e altri motivi questo libro è consigliabile particolarmente agli alunni, magari facendolo adottare nelle scuole come opera di narrativa. I lettori possono trovarvi paesaggi incantevoli, pensieri profondi, utili stimoli alla formazione del carattere e anche occasioni per esercitare la propria fantasia in leggende e fiabe dolomitiche, come in quella del lago di Carezza, in quella della pastorella Azzurra e della volpe Furba, in quella del piccolo montanaro Tonino — il cui testo più d’altri si colora di poesia e che anzi, se si sceneggiasse, potrebbe avere come colonna sonora l’omonima e celebre composizione musicale Le petit montagnard (“Il piccolo montanaro”) di Francesco Paolo Frontini (Catania 1860-1939) — e in quella del mostro-gigante guardiano della Slingia (BZ) addormentatosi a lungo e quindi trasformato per castigo in un gruppo montuoso.

La forma grafico-editoriale del libro è ben curata ed elegante; e, nonostante alcune imperfezioni linguistico-espressive, esso si legge con facilità e vivo interesse, data la chiarezza e la scorrevolezza. Inoltre per le espressioni dialettali sarebbe stata opportuna una traduzione in italiano, anche se in nota, e per le parole straniere una differenziazione tipografica con corsivi, grassetti o virgolette.

Carmelo Ciccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carmelo Ciccia

Nato a Paternò, dopo la laurea in lettere a Catania e un periodo d’assistentato universitario e d’insegnamento liceale in quest’ultima città, si è trasferito nel Veneto, dove è stato docente e preside, per molti anni nel liceo classico di Conegliano (TV), città in cui risiede e in cui svolge varie attività culturali. Ha pubblicato una ventina di libri e una quarantina di opuscoli ed estratti, anche in latino, quasi tutti di saggistica e di critica letteraria, principalmente su Dante, ma anche su altri scrittori. Collabora a numerosi giornali e riviste con articoli e recensioni (oltre un migliaio quelli finora pubblicati) ed ha ottenuto vari riconoscimenti, fra cui alcuni primi premi, premi della cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, concessa dal Presidente della Repubblica, e la medaglia d’oro della città di Conegliano, concessa dal sindaco. Nel 2005 è stato invitato al Quirinale dal presidente Ciampi.

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