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Nasce a Paternò la “Casa teatro del cantastorie”

Lun, Feb 27, 2012

Cultura

Giovanni Calcagno l’ha inaugurata con un corso sugli eredi degli antichi narratori

Passa la notti e veni la matina/ lu suli si ni va, veni la luna/ comu lu sciumi lu tempu camina/ e camina l’ità di la pirsuna

Queste sono parole in versi di Ciccio Busacca, noto cantastorie paternese, che alla passione per la narrativa ha unito la sensibilità musicale per raccontare una storia, che era anche denuncia.

In memoria di Ciccio Busacca e degli altri cantastorie siciliani, Orazio Strano, Turiddu Bella, Vito Santangelo, Matteo Musumeci, Ciccio Rinzinu e altri, a Paternò nasce la “Casa teatro del cantastorie”, un progetto realizzato dall’associazione “Casa dei Santi” e patrocinato dalla Provincia Regionale di Catania in collaborazione con il Comune di Paternò.

Il Piccolo Teatro di Paternò è la sede del laboratorio teatrale che è gratuito e avrà una durata di 120 ore, all’interno del quale le lezioni sono tenute da Giovanni Calcagno insieme a professionisti del settore.    

Giovanni Calcagno racconta a noi dell’Alba che “La Casa teatro del cantastorie” «è innanzitutto un centro di ricerca teatrale, dove sotto la veste più evidente, quella teatrale, si nasconde una ricerca personale, storica, antropologica, per arrivare a un contatto con una radice più profonda del nostro essere. Essa nasce da un pretesto che affonda le sue radici negli anni immediatamente dopo il dopoguerra fino agli anni 60/70, anni che vedono i cantastorie lavorare per le strade, ma soprattutto dal desiderio di rievocare questa forma di teatro di narrazione, che ha avuto dei rappresentanti a Paternò, numerosi e di altissimo livello».

Gli anni sono passati e il palcoscenico non è più lo stesso così come “l’atmosfera” e Giovanni continua affermando «che al di là della forma di narrazione del cantastorie, che non è proponibile perché legata al silenzio delle strade, al fatto che il cantastorie era un informatore, c’è in realtà un desiderio di ricreare le condizioni di quel silenzio, le condizioni che regolavano quell’ascolto, che stabilivano un contatto di attenzione fra chi raccontava e chi invece ascoltava il racconto. Credo che siamo in un momento in cui l’attenzione oggi viene veramente messa a dura prova dai ritmi, dai rumori, dai meccanismi della nostra vita e da qui deriva il desiderio di proporre un metodo per andare contro corrente».

Il laboratorio teatrale è frequentato da giovani e meno giovani che sono entrati in contatto con una storia, quella della letteratura orale, raccontata dai loro nonni e genitori. Questa letteratura, che risale agli aedi e rapsodi, cioè al cieco poeta di Chio, Omero, è stata tramandata da questa figura, il cantastorie «una forma di narratore, una maschera che si è presentata ad un certo punto della storia perché c’erano determinate condizioni che hanno creato e favorito lo svilupparsi di quella determinata figura, una narrazione che era supportata da una macchina che serviva per il trasporto, da un tetto di una macchina che serviva da palco, da un microfono, un telone e una chitarra» –  racconta Giovanni – «ma quel tipo di cantastorie era un erede di antichi narratori, che sono stati su questa terra non da secoli ma da millenni. Stiamo riprendendo una tendenza che non riguarda solo il Mediterraneo ma l’uomo. Questo fenomeno, che si è localizzato nella nostra zona, nasconde in realtà una tendenza dell’uomo e dello spirito umano, che si perde nella notte dei tempi. Raccontava Ciccio Busacca che il padre e la madre non volevano che lui facesse il cantastorie perché era una cosa affidata agli orbi e sciancati. Perché gli orbi? Questa scelta è interessante perché la società non li emarginava e gli dava un ruolo, ma c’è un altro motivo: l’orbo non può vedere l’esterno ma può solo vedere il suo paesaggio interiore; è questo da origine alla storia».

L’affermazione di una delle partecipanti «non è il mondo dei sogni che sta morendo ma quello reale», pone una domanda sul perché insegnare ai giovani di oggi, che sono lontani da quella realtà, la storia e l’arte del cantastorie. La casa del cantastorie, dice Giovanni, vuole «giorno dopo giorno lavorare ad un ascolto interiore che tiri fuori qualcosa che sia veramente importante da raccontare, della nostra vita e delle nostre vite. Qualcosa che sia al contempo personale e impersonale. L’iniziativa si è rivelata piena di sorprese, vecchi cantastorie hanno proposto la loro esperienza, studiosi hanno portato i loro manoscritti. Ma soprattutto vivo è l’interesse nei confronti della materia, che ha rivelato un’esigenza ed una sensibilità, dei paternesi, verso lo scrivere e il narrare in versi: non sono artisti ma barbieri, signore, ragazze che hanno nel loro cassetto i loro pensieri e sentono l’esigenza di esprimersi. L’esperienza della casa del cantastorie può permettere a queste energie di tornare ad essere convergenti invece di essere divergenti, come spesso le nostre ricerche e le nostre sensibilità, e per questo più deboli».  

Ancilu era e nun avia ali / nun era santu e miraculi facìa, / ‘n cielu acchianava senza cordi e scali / e senza appidamenti nni scinnia; /

era l’amuri lu so’ capitali / e ‘sta ricchizza a tutti la spartìa: / Turiddu Carnivali nnuminatu / ca comu Cristu nni muriu ammazzatu. (Ignazio Buttitta)


 

 

 

Rosa Maria Crisafi

Laureata in Lettere Moderne presso l’Università di Lettere di Catania. E’ autrice del libro “Un inedito episodio artistico medievale”. Insegna materie umanistiche presso istituti di scuola media di primo e secondo grado. Dal 2007 scrive per “l’Alba”.

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