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Le masserie, nostalgici luoghi della memoria

Sab, Gen 24, 2015

Cultura

FOTO: Roberto Fichera

Con la riforma agraria e la fine dei latifondo, le campagne cambiano identità 

Centro economico e sociale, attorno a cui erano convogliate altre attività artigianali e commerciali, un tempo le masserie costituivano degli avamposti per difendere i campi dai briganti. Comprendevano vari edifici: la casa padronale, l’abitazione del colono e quella per i lavoranti

Inizio con un racconto quasi biblico. Dovendo difendere la masseria, avuta in gabella nella Piana di Catania, da alcuni vicini prepotenti e litigiosi che avevano in uso, già da tanti anni, di devastare, con mandrie di porci, i campi confinanti seminati a grano, mio nonno decise di mettere a guardia dei sottostanti poggi i suoi sette figli. Alcuni erano armati di un vecchio fucile da caccia, altri di un nodoso bastone, il più piccolo, semplicemente di una fionda per affrontare un grande Golia. Il maggiore dei fratelli, inoltre, cavalcando una focosa giumenta corse direttamente a Catania per avvisare, dell’avvenuto sconfinamento, le Forze dell’ordine, che subito accorsero a fermare gli invasori. In quella occasione e per tutto il tempo della permanenza della famiglia,  nella masseria regnò la pace. Nel passato le masserie, oltre che dei luoghi di riparo e di ristoro per uomini e animali, costituivano degli avamposti, dei fortini per difendere i campi dai briganti, specialmente nella parte occidentale dell’Isola, dove, circondata da solide mura, la masseria aveva la corte chiusa, chiamata baglio. Anche nella Sicilia orientale,numerose e imponenti erano le masserie disseminate tra i fondi rustici. La masseria, che svolgeva la funzione di centro economico e sociale intorno a cui erano convogliate tutte le altre attività artigianali e commerciali, comprendeva vari edifici: la casa padronale, l’abitazione del colono e quella per i lavoranti. Vi erano, inoltre, alcuni fabbricati funzionali per gli attrezzi, depositi per il grano, magazzini per le cibarie e le vettovaglie), stanze per gli operai a giornata e per gli annalori (i lavoratori a contratto annuale) che, assunti o adduvati  per tutta la stagione, lavoravano per un piatto di minestra dall’alba al calar del sole e dormivano tra la paglia, avendo per guanciale  un semplice sacco o chiumazzupieno di crini o di foglie di pannocchie di granturco. A volte si poteva trovare anche u jazzu «sorta di letto sostenuto con forcole di legno sopra pezzi di legno per lettiera, e sopra ancora della frasca». Accanto, infine, le spaziose stalle, con lunghe mangiatoie, costellate da pesanti anelli di ferro, ben incastrati nel muro, a cui venivano legate le cavalcature che erano  religiosamente protette da una  croce in malta, al centro della parete. I pavimenti delle stalle qualche volta erano acciottolati, avendo al centro un canale di pietra per lo scarico dei rifiuti liquidi.  All’esterno le tettoie per preservare il foraggio dall’umidità e per la custodia dei carretti. Le masserie più importanti, costruite nel XIX secolo, erano fornite, anche, di una fresca cantina, in cui erano collocate le botti del vino, adornate di foglie d’alloro, e di una cappella, protetta da palme da dattero, da pini o cipressi, per la celebrazione della messa. In questo modo la masseria svolgeva una funzione totale diventando “universo isolato e fattivo, indipendente anche dal punto di vista sacrale“. Costruita a parte, oppure sopra qualche solaio, si poteva ammirare una colombaia, realizzata con graziose aperture triangolari, piccoli capolavori di una semplice, ma tanto armoniosa, architettura rurale. La masseria, si richiama, nelle linee generali, alla struttura della villa rustica romana, notandosi, a livello architettonico, una chiara corrispondenza tra cortile e peristilio. La struttura della villa si conserva anche dopo la fine dell’impero romano e l’avvento del Cristianesimo. Oggi, dopo la riforma agraria, con la fine dei latifondi e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, la masseria, situata al centro di un vasto territorio, ha perso la sua funzione originaria che era quella di coordinare le grandi aziende agricole e latifondistiche. Alcune delle antiche masserie, distribuite nel territorio di Paternò, sono state, purtroppo, abbandonate, altre, invece, sono state ristrutturate (in seguito alle varie leggi emanate da Consiglio d’Europa in materia di Turismo rurale) per essere adibite a luoghi di agriturismo, con un fine non solo di carattere economico ma anche didattico-ecologico per la conservazione dell’aspetto paesaggistico, nel rispetto della Natura, e per uno sviluppo sostenibile del territorio. L’Unità Operativa del Comune, alcuni anni fa, ha individuato alcuni edifici rurali nel territorio di Paternò classificandoli in Masserie (Palumbo ecc.)  Ville (Cafaro, Raspagliese, Mirone, ora Casa delle acque) Mulini ad acqua e costruzioni con Elementi di culto (altarini ecc.). È stato, inoltre, inserito nella classificazione l’edificio definito come ex Allevamento dei cavalli (la cui costruzione da parte del Ministero della Guerra, risale al 1883), in cui sono stati individuati i seguenti settori: Infermeria, Dormitorio, Spaccio e Stalle. Un’analisi, a parte, merita la masseria di Poira, costruzione dell’800, vero e proprio fortino, rinforzato da scarpature, sui poggi al confine del territorio di Paternò, feudo del Barone Spitaleri di Adrano, oggetto di un sequestro di persona da parte di alcuni briganti, scesi, con focosi destrieri dai monti Nebrodi.

Mimmo Chisari

FOTO: Roberto Fichera

FOTO: Roberto Fichera

 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione l’Alba

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