A A
RSS

“Rigoletto” di Verdi al Teatro Antico di Taormina

Ven, Lug 26, 2013

Primo Piano, Spettacolo

Foto: Domenick Giliberto

Un cast straordinario con l’eccellenza di Carlos Almaguer e Rocio Ignacio

Non poteva essere altrimenti, nel bicentenario della nascita del genio musicale di Giuseppe Verdi, che ad inaugurare la stagione lirica 2013 del Teatro Antico di Taormina fosse proprio un’opera del Maestro di Busseto; nel caso Rigoletto che, insieme a Il trovatore e La traviata, appartiene alla cosiddetta Trilogia popolare.

Definita la prima opera della maturità di Verdi, Rigoletto trae ispirazione dal dramma in versi Le Roi s’amuse (“Il re si diverte” – 1832) di Victor Hugo, dove si narra la storia del buffone di corte Triboulet nelle cui mani il re è solo una mostruosa marionetta dedita alla tirannia, al vizio e alla distruzione delle esistenze altrui. Un giorno, durante una festa, il signor di Saint-Vallier, un infelice padre, alla presenza del re, viene accusato del disonore della figlia Diana. Triboulet lo schernisce e lo insulta; allora il padre offeso solleva un braccio e maledice il buffone per essere colpito nella sola cosa che ama al mondo: sua figlia Bianca (Gilda nell’opera verdiana). Sarà così: una serie di eventi lo condurranno involontariamente a far rapire la propria figlia e a farla uccidere al posto del re che l’aveva fatta sua solo per gioco. E’ il culmine del dramma.

Il testo venne osteggiato con forza dagli ambienti politico-conservatori francesi, per via della trama oltremodo esplicita nel raccontare un’aristocrazia incline agli eccessi e per il modo in cui dipingeva la figura del re Francesco I di Valois: un donnaiolo e un libertino privo di morale. Quando nel 1850 la Fenice di Venezia commissionò a Verdi una nuova opera, la scelta di quest’ultimo ricadde subito sul testo del romanziere francese, ma era anche consapevole che il dramma avrebbe potuto risvegliare sentimenti irredentisti nei confronti di Ferdinando I d’Austria, soprattutto dopo i moti rivoluzionari del 1848-49. Furono necessari diversi accorgimenti per sedare la concitazione della Censura: l’ambientazione rimase quella originale del XVI secolo ma anziché Parigi si spostò il racconto a Mantova, il re divenne Duca e si cambiarono alcuni nomi: Castiglione in Monterone e Cipriano in Ceprano. L’unica cosa sulla quale Verdi dovette cedere a malincuore fu l’eliminazione della scena tra Bianca e il re nella camera da letto, per il resto il libretto di Francesco Maria Piave mantiene la trama dell’originale, dove il fulcro dell’intera opera resta  la maledizione scagliata da un padre (in questo caso il Conte di Monterone) ad un padre (Rigoletto). Per questa ragione in un primo momento Verdi aveva scelto come titolo la “Maledizione di Vallier” accorciato successivamente in La maledizionee trasformato poi in Rigoletto.

Dalla prima dell’11 marzo 1851 alla Fenice di Venezia il pubblico, più che la critica, decretò il successo dell’opera verdiana; si racconta che il Maestro, consapevole di questo, avesse proibito addirittura l’esecuzione dell’aria La donna è mobile, per timore che potesse essere nota in città prima del debutto.

Anche a Taormina, nella rassegna lirica curata dal patron Enrico Castiglione, l’opera riconferma il suo trionfo con un completo coinvolgimento da parte del numeroso pubblico che a conclusione dello spettacolo è culminato in un tripudio di applausi protrattosi per venti minuti. Regia attenta quella di Castiglione, che ha curato con dovizia sia la rappresentazione teatrale che quella televisiva per Rai5. Per il terzo anno consecutivo, dopo Nabucco (2011) e Norma (2012), lo spettacolo del regista romano è stato trasmesso dall’emittente nazionale e successivamente da RaiUno nell’ambito della programmazione curata ogni anno per la lirica da Gigi Marzullo.

Grande spettacolo, dicevamo, Rigoletto con un cast degno di nota; in primis, nel ruolo del personaggio eponimo, il baritono Carlos Almaguer: una lunga carriera alle spalle e varie onorificenze all’attivo che non lo hanno smentito a Taormina, dove sul palcoscenico del Teatro Greco ha espresso una prestazione canora di grande livello, ben delineata nella voce e nel fisico: ottima presenza scenica e mimica facciale. Ha offerto un’eccellente esibizione anche la giovanissima Rocio Ignacio, perfettamente a suo agio nel ruolo di Gilda, apprezzabile ed apprezzata particolarmente dalla platea per la voce cristallina e l’ottima timbrica; d’altra parte la soprano spagnola non è nuova nel vestire i panni dell’ingénue verdiana, ruolo che le calza a pennello. Il Duca di Mantova è il tenore Gianluca Terranova, il quale grazie ad una vocalità omogenea e ad una forte personalità si è ben imposto sul palcoscenico. Buona la sua interpretazione della popolare (la più, sarebbe il caso di dire!) aria: “La donna è mobile”, dove il tenore riesce ad esprimere l’obiettivo musicale di Verdi nelle sue tre esecuzioni: la prima: l’atmosfera triviale e trasgressiva della taverna di Maddalena, sorella di Sparafucile (il sicario), donna di facili costumi; la seconda, quella da canzonetta canticchiata mentre sale le scale per raggiungere la donna; la terza, dopo che il sicario, ha ucciso la povera Gilda travestita da uomo; esattamente quando il canto del secondo ritorno arriva alle orecchie di Rigoletto intento a vedere dentro un sacco il corpo del duca che, invece, altro non è che quello della sfortunata figlia, tragicamente assassinata per un crudele sberleffo della sorte presagita.

Nel complesso buona la prestazione degli altri interpreti: il basso Gianfranco Montresor è Monterone, Emanuele Cordaro (Sparafucile), Chiara Fracasso (Maddalena), Lara Rotili (Giovanna), Antonio Barbagallo (Marullo), Giuseppe Distefano (Borsa), Salvatore Grigoli e Annalisa Sprovieri (il Conte e la Contessa di Ceprano). A completare il quadro l’Orchestra Sinfonica Bellini di Palermo che  ha dato ottima prova sotto la guida del Maestro Gianluca Martinenghi, tra i più rinomati direttori d’orchestra italiani, e il Coro Lirico Siciliano, istruito da Francesco Costa.

La psicologia dei protagonisti è delineata con forza dilagante; tutti sono vittime e carnefici di se stessi: Gilda, innocente e prigioniera dell’amore, ne è l’esempio più evidente; il padre la metterà di fronte alla vera inclinazione del Duca durante il III atto, ma l’unica cosa che la giovane sarà in grado di fare alla fine è immolarsi per l’amato: V’ho ingannato…/ colpevole fui…L’amai troppo…/ ora muoio per lui (III atto). Caso a sé è Rigoletto, che vive una dualità ben celata in un primo momento: il buffone di corte sprezzante e senza freni inibitori è il padre amorevole ed apprensivo. E vive il terrore di perdere Gilda, come già era accaduto con la moglie; la nefasta profezia lo tormenta: Quel vecchio maledivami!…Tal pensiero/ perché conturba ognor la mente mia?/ Mi coglierà sventura?” (I atto); di fatto sarà lui stesso ad innescare la tragedia nel momento in cui incarica Sparafucile di uccidere il Duca per lavare via l’onta subita. Nessuno poteva prevedere la variabile Maddalena, personaggio solo in apparenza secondario. La giovane sorella di Sparafucile, invaghitasi del Duca e priva di remora, farà di tutto per salvare l’amato, proponendo addirittura al sicario di uccidere il mandante dell’omicidio. L’uomo però sembra avere una sua etica e rifiuta; sarà la sorte a decidere: il primo uomo che busserà alla taverna sarà la vittima. A quel punto entra in scena Gilda che si spaccia per un mendicante e dà il via al sacrificio. Il Duca, unico esempio di tenore negativo del teatro verdiano, sarà quindi salvato fatalisticamente da un’innocente vittima; egli vive l’amore in maniera egoistica ed indifferenziata: Questa o quella per me pari sono. In un unico momento mostra tenerezza e apprensione per Gilda, quando la fanciulla viene rapita ma è uno sconcerto che dura poco, per lasciare ben presto spazio alla sua effettiva indole da seduttore nell’ensemble “Bella figlia dell’amore”, vera serenata alle donne, nella quale Maddalena risponde con un veloce staccato, Gilda si strugge con note acute e Rigoletto medita vendetta.

La scenografia, firmata dallo stesso Enrico Castiglione, è minimale al massimo; infatti si propone con dei praticabili che esprimono un labirinto, emblema della classicità greca. Il dedalo assume in questo contesto il valore di una prigione, dove rinchiudere gli eccessi e le pulsioni più grette dell’animo umano, un angusto spazio dove intrappolare i cortigiani «vil razza.» Magnifici i lunghi candelabri che hanno permesso al pubblico di entrare appieno nell’etereo mondo del teatro, coadiuvati anche dall’attento disegno luci di Lorenzo Tropea. Un plauso speciale va alla costumista Sonia Cammarata per l’eccessiva cura nei dettagli dei costumi, per i quali ha impiegato stoffe preziose: broccati e velluti in pieno stile rinascimentale. I costumi di scena sono allegoria del mondo animale, come l’abito del gobbuto Rigoletto che nella foggia e nei colori richiama il gallo con tanto di cresta in testa; rievoca il gufo, animale per antonomasia portatore di cattivi presagi e morte, quello nero corredato di piume di Monteroni. L’accostamento dell’uomo alla bestia si ritrova anche nelle maschere di uccelli dai lunghi becchi sul viso degli uomini di corte, occupati ad ingiuriare e a tessere sordidi inganni per distrarsi dalla noia della vita. Gilda invece è posta al di fuori di questa esistenza; mantiene il suo candore verginale in tutti e tre gli atti con abiti dalle tonalità tenui: cipria e crema e dalle fattezze lineari.

Questa rassegna taorminese si apre quindi sotto i migliori auspici ponendosi come scopo l’intento di rivalutare la lirica, non solo come spettacolo di nicchia, ma come invito al pubblico ad accostarsi ad un’arte che deve essere di tutti perché universale.

Laura Cavallaro

Laura Cavallaro

Tags: , , , , , , , ,

3 Resposte a ““Rigoletto” di Verdi al Teatro Antico di Taormina”

  1. Placido ha detto:

    Mi scusi Laura, ma lei quale Rigoletto ha visto? La sua recensione è smisuratamente poco obiettiva. L’unica spiegazione che riesco a darmi è che lei non ha mai ascoltato una solo nota nella sua vita, e questa è la più bonaria. Potrebbero esserci poi tante altre spiegazioni ma….

    • Laura ha detto:

      Gentile signor Placido, sarei molto lieta di conoscere le sue impressioni in merito allo spettacolo.Sono sicura che potrebbe nascerne una discussione interessante, chiaramente la invito ad attenersi esclusivamente all’ambito artistico musicale della messa in scena e a non fare insinuazioni di natura personale sulla sulla sua autrice.
      Porgo i più cordiali saluti
      Laura Cavallaro

  2. Rapis ha detto:

    Gentile Laura,
    Le scrive un frequentatore di teatro e amante dell’opera,
    desideravo comunicarle che la sua recensione mi è piaciuta molto.

    Cordiali saluti
    R.F.

Lascia un commento

agata rizzo alba Anna Rita Fontana arte bellini belpasso biancavilla cannizzaro carlo caputo carmelo ciccia catania cinema collura Coro lirico siciliano daniela schillaci danilo festa discarica motta film giuseppe cantavenere iti cannizzaro l'alba l'Alba ArteCulturaSocietà l'alba periodico laura cavallaro laura timpanaro libro mario incudine matteo collura misterbianco mostra motta sant'anastasia nino di guardo no discarica norma viscusi paternò patrona pdf pino pesce rosa balistreri scuola SI.RO spettacolo taormina teatro Teatro Massimo Bellini di Catania

Bacheca Periodico – Ultime Edizioni